La crisi non è cinese Negozi e locali saliti a quota 244

Poco più di dieci anni fa (era il dicembre del 2002) nella nostra città, in via Machiavelli, apriva il primo negozio gestito da cinesi. Nel 2004 le imprese cinesi registrate alla Camera di Commercio e impegnate nel settore della ristorazione o dell'abbigliamento erano 16. Oggi i commercianti orientali hanno diversificato investimenti e aziende nella nostra provincia hanno raggiunto quota 244. Se il loro fortino fino a qualche tempo fa era arroccato intorno al Borgo Teresiano, ora le attività gestite o gli immobili di proprietà “gialla” sono dislocati in diversi punti della città. Hanno raggiunto via Giulia, via San Francesco, via Udine e le zone attorno a viale XX Settembre. Hanno messo piede in via Ginnastica e via Crispi. E poi verso il Giardino pubblico, via Battisti, piazza Garibaldi, viale D’Annunzio, San Giacomo. E diversificano ormai gli investimenti.
L’ondata orientale non si ferma. Anzi: appena un’attività viene messa in vendita o non funziona più loro arrivano in due o tre, chiedono del titolare e poi in uno stentato italiano propongono una cifra in contanti per rilevare il locale. Sono a caccia di affari. Approfittano della crisi che attanaglia il commercio e puntano ad acquistare fori commerciali o a rilevare esercizi pubblici. Ampi spazi dove aprire un negozio di casalinghi, locali più piccoli dove installare una sala giochi, una sartoria o una lavanderia. Particolare l’interesse che dimostrano per i bar.
«Sono gli unici che stanno facendo proposte concrete per rilevare esercizi pubblici – segnala Bruno Vesnaver, presidente Fipe – preferiscono acquistare anche i muri piuttosto che prendere in affitto. E va riconosciuto che con loro, così come con i turchi che gestiscono i kebab, non ci sono mai problemi per incassare le locazioni. Sono precisi e puntuali». Vesnaver conferma che «le proposte dei cinesi per rilevare esercizi pubblici non sono più circoscritte alla periferia ma anche nella zona pedonalizzata del centro».
L’interesse degli orientali per la gestione di esercizi pubblici viene confermata anche dalla Confesercenti, che organizza la maggior parte dei corsi per i cinesi che intendono iscriversi al Rec (il registro degli esercizi commerciali). «C’è stato – spiega Giuseppe Giovarruscio, presidente di Confesercenti Trieste - un aumento esponenziale di giovani cinesi che si iscrivono ai corsi per poter poi gestire un bar. Sono ragazzi e ragazze arrivati a Trieste anni fa con i genitori, che hanno frequentato le nostre scuole e parlano perfettamente l’italiano». Dalla gestione di ristoranti tipici cinesi e di negozi di abbigliamento e pelletteria, i cinesi sono passati prima all’apertura di bar, poi a quella di centri massaggi (diverse volte peraltro coinvolti in indagini relative allo sfruttamento della prostituzione). Col tempo hanno aperto saloni di parrucchiere con manicure. Ora è il momento delle piccole sartorie, dei lavasecco, delle sale piene zeppe di slot machine e dei grandi bazar dove vendere casalinghi, arredo e biancheria per la casa, strumenti per l’informatica, per la telefonia e piccoli elettrodomestici.
Il locale aperto in via San Francesco negli ampi spazi un tempo occupati dal ristorante Brek va considerato senza dubbio una delle attività commerciali di maggior successo in città in questo momento. Sempre pieno, ha assunto anche cassiere italiane per facilitare il rapporto con i clienti e si è ben integrato nel tessuto commerciale circostante. Lì i gestori non hanno esposto lanterne rosse (in Cina di buon auspicio: il rosso è il colore che porta fortuna e le forme rotonde rappresentano la vita che continua), curano le vetrine e vendono molta merce di marca o prodotta anche in Italia. Non solo: i titolari, gli stessi di un negozio di piazza Garibaldi, hanno preso spunto da negozi storici come Marchi Gomma o Center Casa e nei diversi periodi dell’anno allestiscono il negozio dedicando uno spazio al Carnevale, al Natale, al necessario per la scuola; adesso è il momento di tutto quanto serve per il mare o l’arredo del giardino. I prezzi sono concorrenziali. E i triestini sembrano apprezzare.
«Ormai i cinesi fanno parte a pieno titolo del nostro tessuto commerciale – valuta Giovarruscio – portano in città molti investimenti e dunque ritengo giusto coinvolgerli nelle iniziative legate al commercio cittadino». Un esempio? «All’ultimo mercatino di Natale non è stato loro concesso di prendere in affitto una bancarella – sostiene Giovarruscio – invece sarebbe stato corretto accettare eventuali proposte. Sono nostri commercianti».
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