La doppia personalità del killer di Udine

UDINE. Dopo aver ucciso, ha desiderato di essere scoperto. Ma in precedenza aveva organizzato tutto per non essere preso. Aveva programmato un sequestro lampo che avrebbe dovuto fruttargli un po’ di soldi. Ma lei, Silvia Gobbato, 28 anni, si è messa a gridare. «Aiuto, aiuto!». Così forte che lo stesso aggressore, trovandosi di fronte a una situazione non prevista e temendo di essere scoperto, è andato nel panico e la violenza ha preso il sopravvento.
L’interrogatorio
Nicola Garbino, l’uomo che ha confessato l’omicidio della giovane praticante legale, ha parlato tanto con i carabinieri che hanno indagato sotto la guida del comandante del Nucleo investigativo Fabio Pasquariello. Ha cominciato pochi istanti dopo averli incontrati e non si è più fermato. Aveva un grande peso nell’animo. Un peso che, ad un certo punto, ha cercato di rendere più sopportabile con una confessione. Tanto che quando, verso le 11 di giovedì, è stato fermato da due carabinieri in borghese - un maresciallo e un appuntato dal grande intuito investigativo - non ci ha messo molto a dire: «Sono proprio io l’assassino, mi avete beccato, ho fatto una cosa imperdonabile e in questa borsa che volete ispezionare ci sono il coltello e i vestiti sporchi di sangue, ve lo dico già io».
Il sopralluogo
Una volta condotto nella caserma di viale Trieste, Garbino si è reso disponibile ad accompagnare gli investigatori sul luogo del delitto, per spiegare loro con esattezza la dinamica dell’omicidio e gli spostamenti effettuati subito dopo e ha detto più o meno così: «Sono rimasto a lungo lì vicino. O almeno credevo di essere vicino. Pensavo di non poter sfuggire ai controlli. Ho valutato la possibilità di costituirmi, ma non volevo tornare dove c’era lei. Non volevo rivederla. E poi non volevo dare un dolore alla mia famiglia, non mi perdoneranno mai, per loro sarà una grande delusione. E così ho continuato a vagare, mi sono tolto i vestiti sporchi e poi ho chiesto indicazioni a una pattuglia della polizia municipale. Ho persino domandato loro un passaggio. Pensavo che seduto in auto con loro avrei trovato la forza di raccontare tutto».
Voce sempre flebile
Quando parla Nicola Garbino lo fa con una voce flebile. Di fronte ai carabinieri appare in tutta la sua fragilità. È pallido, non è molto alto, pesa apparentemente 60-65 chili e dice di essere stanco. Sembra provato dalle sue stesse azioni. «Pensavo che le tracce di sangue vi avrebbero portato subito a me. Mi aspettavo di incappare in posti di blocco. Ero sicuro che le telecamere dei capannoni mi avessero ripreso e che sareste riusciti a risalire a me», ammette il trentaseienne di Zugliano che, a tratti, pare quasi sollevato dal fatto di essere stato fermato. Fin qui, però, solo una parte di Garbino.
Altra personalità
“L’altro” Garbino, invece, aveva pensato a tante cose prima di raggiungere l’ippovia del Cormor. Aveva lasciato l’auto lontana (al cimitero di Udine) con dentro il cellulare. «Non penserete che uno che vuole fare un rapimento si porti il cellulare?» ha detto candidamente ai carabinieri. Aveva pensato anche ai vestiti di ricambio, al nastro adesivo e al coltello. La sua idea era quella di legare la sua vittima a un albero (con il nastro adesivo che si era portato dietro), lì nel boschetto e di costringerla a chiamare qualcuno che potesse pagare un riscatto. Non sapeva neanche lui chi. Sarebbe stata la sua “preda” a individuare la persona giusta.
L’agguato mortale
Martedì Garbino è arrivato in tarda mattinata alla strada comunale Brisions, tra Colugna e Plaino. Ha atteso per oltre un’ora prima di agire. Scartava le persone che correvano molto veloci. Le coppie e i ciclisti ovviamente. Silvia è stata scelta, così ha detto il trentaseienne, perchè aveva un’andatura moderata e Garbino ha ritenuto di poterla inseguire e bloccare più agevolmente. Infatti si è messo a correre, come se stesse facendo jogging anche lui. E, quando l’aveva quasi raggiunta, lei si è girata. Ha visto il coltellaccio impugnato da un uomo con cappuccio e guanti. Terrorizzata si è messa a urlare con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Ma nessuno l’ha sentita. Ha provato a sfuggire all’aggressione con le sue forze, riparandosi con le braccia. Ma un coltellata fortissima l’ha raggiunta alla pancia. Poi un altro colpo e un altro. Si è accasciata sulle ginocchia. È caduta. Lì sulla pista. E, secondo gli esperti del Ris, quando è stata trascinata nel boschetto era già senza vita. «Riteniamo che sia stato trascinato un corpo non reattivo» ha spiegato il comandante del Ris Giampietro Lago in conferenza stampa.
Un bamboccione
Nicola Garbino ha dichiarato di non aver mai lavorato e di essere iscritto all’università, facoltà di Ingegneria. «Ho mentito ai miei, ho detto che mi mancavano solo pochi esami. In verità ne avevo fatti pochi e me ne manca la maggior parte». Gli investigatori verificheranno anche questo aspetto. Nel racconto-sfogo di Garbino Silvia non c’è. Non un pensiero verso quella ragazza, morta in modo atroce. L’unica cosa che afferma è di non volerla rivedere, di non voler ripassare sul luogo dell’aggressione. Un’aggressione dai contorni surreali che, come hanno sottolineato gli stessi carabinieri, rappresenta il classico caso in cui il lupo spunta fuori dal bosco, colpisce e poi si nasconde. Solo che le favole finiscono bene, mentre per Silvia il lieto fine non c’è stato.
Il procuratore
La soddisfazione per la rapidità d’azione con cui si è arrivati alla soluzione del caso è accompagnata, nei pensieri del Procuratore capo di Udine, Antonio Biancardi, da «una grande amarezza e inquietudine per una situazione che si sta deteriorando, con soggetti che apparentemente tranquilli compiono atti orrendi». La Procura contesta a Garbino l’accusa di omicidio volontario. «Il collega Marco Panzeri probabilmente contesterà anche le aggravanti dei motivi abietti e futili e della crudeltà». L’importante, per Biancardi, è che in casi come questi, «o come nel delitto Burgato di Lignano, venga eliminata la possibilità di concedere attenuanti perché persone che uccidono con tale efferatezza, non meritano nessuna attenuante».
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