La famiglia dei consoli tra cavalieri e pop art

Dal nonno al nipote la storia della rappresentanza di Malta
Di Lilli Goriup

di LILLI GORIUP

Nel 1732 aprì il primo consolato a Trieste: era quello della nazione “greca e turchesca”. I commercianti greci e levantini, che approdavano nel neonato porto franco, avevano chiesto all’imperatore Carlo VI d’Asburgo una rappresentanza.

Esattamente trecento anni prima, i portoghesi colonizzarono le isole Azzorre, nel cuore dell’Atlantico, e un genovese al soldo degli spagnoli completò la traversata poco dopo. Da Costantinopoli a Gibilterra, il mondo conosciuto si voltò a ovest: il Mediterraneo, millenario crocicchio di europei, asiatici e africani, non era più l’unico ponte tra i continenti. Dal Portogallo, estremo lembo di terra europea a occidente, circondato dall’oceano, parte dunque la navigazione alla scoperta delle “nazioni marine” del corpo consolare di Trieste. Come in piazza Unità, l’acqua entra in Praça do Comércio: si dice che si assomiglino, Trieste e Lisbona, entrambe città di porto, entrambe sui colli. «Benvenuti in Portogallo!», è la simpatica accoglienza del console Adriano Martinolli d’Arcy, il cui ufficio non poteva che trovarsi sulle rive. Martinolli d’Arcy è un direttore d’orchestra affermato a livello internazionale: «Vado spesso in Portogallo a dirigere e ne parlo correntemente la lingua, il che mi facilita anche nelle mansioni consolari». Da quest’anno è inoltre segretario del corpo consolare. Ironico, senza mai rinunciare al contegno, si rivela generoso di aneddotica. «Sapevate che questo era l’ufficio dell’avvocato Felice Venezian, che peraltro ha dato il nome alla via?» chiede. E, poco dopo, confessa di aver esposto la bandiera portoghese fuori dal consolato, dopo la finale degli europei di calcio di quest’estate. «Da qui si vede una cartolina diversa ogni volta che ci si affaccia alla finestra» chiosa rimandando ancora una volta al mare.

Salpando da Lisbona, e costeggiando la penisola iberica puntando a sud, fino a varcare le colonne d’Ercole in senso contrario a quello di Ulisse, ecco la Spagna: il console competente per Trieste, e dunque per il Friuli Venezia Giulia, ha sede in Veneto e ricopre la massima carica del corpo consolare di Venezia, il decanato. Antonio Simionato, il rappresentante diplomatico scelto da Madrid, ha lavorato per trent’anni alla Cassa di risparmio di Venezia.

Proseguendo verso sudest, nel cuore del Mediterraneo, si incontra Malta. All’ingresso del consolato triestino campeggia il suo stemma: uno scudo con due bande verticali, una bianca e una rossa, attorniati da un ramo d’ulivo e uno di palma, simboli di pace. Alla base una fascia bianca reca la scritta “Repubblika ta’ Malta”, in maltese, un idioma semitico con influenze del siciliano. Cose da Federico II di Svevia. «L’ambasciatore era solito dirmi che “Il console perfetto ha 40 o 50 anni: ha già esperienza ma anche ancora molti anni da dedicare al suo compito”. Io invece a Malta ero il più giovane» scherza Alberto Panizzoli, triestino classe 1978, console di Malta. E poi continua: «Nel 2008 ero lì come ricercatore in Geopolitica che andava di archivio in archivio chiedendo i permessi per consultare le opere più disparate». È in quell’anno che Panizzoli viene scelto da La Valletta come console continuando una tradizione di famiglia: «Mio nonno Aldo Panizzoli fu nominato console di Malta con un atto firmato dalla regina Elisabetta. Era un imprenditore nel settore del legno. Mio padre Armando fu prima viceconsole e poi console dal 1999. Infine sono arrivato io». Alberto Panizzoli ha dedicato a Malta due tesi, una di laurea e una di dottorato, più altri lavori, ma la ricerca non è la sua unica passione: organizza mostre di arte contemporanea e numerose sono le opere esposte alle pareti del suo ufficio.

Lasciando il territorio maltese con questa suggestione di continuità fra i monaci-cavalieri dell’ordine di Malta, le cui gesta sono narrate nei libri che tappezzano il consolato, e la Pop art e proseguendo verso Oriente si approda in acque greche. Il consolato triestino di Atene vanta molteplici primati: Marina Kedros Pappas è la prima donna a ricoprirlo, mentre suo padre fu il primo greco. «La mia è una delle vecchie famiglie greche di Trieste arrivata da Costantinopoli. Mio padre Cleon Kedros, imprenditore marittimo, fu il primo console greco della città. Anche mio marito Menelao Pappas, greco di Grecia, era console» racconta Marina Kedros Pappas. All’interno dell’ufficio si parla greco: «Ola kalà?» («Tutto bene?»), chiede la console a una segretaria. «Le segretarie sono le mie due colonne portanti: io, succeduta a mio marito, sono qui da due anni, loro da dieci», prosegue Marina, facendo rivivere l’antica ospitalità ellenica davanti a un caffè. La comunità greca locale popola non solo Trieste ma l’intero Friuli Venezia Giulia e il Veneto, per un totale di oltre 3mila persone. Alcune hanno la doppia cittadinanza mentre altre, come la console, il solo passaporto greco. La mole di lavoro che ne deriva è immensa. Una soddisfazione speciale è stata la pubblicazione, promossa dal consolato, delle poesie di Yannis Ritsos, nei primi anni Duemila: «Fuori dalla porta avevamo la coda di persone che volevano il libro» ricorda una segretaria. Console e segretarie però concordano: «I momenti più belli del nostro lavoro sono quelli piccoli, di quotidianità, in cui sentiamo di aiutare concretamente le persone». Del consolato usufruiscono anche molti italiani, che si fanno riconoscere le nozze: la tendenza del momento, tra le coppie di corregionali, è sposarsi in Grecia. Non mancano poi i momenti ludici, come il 25 marzo, doppia festa, nazionale e religiosa, o il 6 dicembre, San Nicolò, che oltre a portare doni ai bambini della costa adriatica è il santo patrono della chiesa greco ortodossa: il consolato partecipa attivamente alle feste della comunità. «Avete presente il film “Il mio grosso grasso matrimonio greco”? Noi greci all’estero siamo un po’ così: ci teniamo alle nostre tradizioni» scherza la console.

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