La gaffe dell'Inps con la "vedova": il marito è vivo

Una vicenda pirandelliana: la moglie accusata di essere vedova
e di percepire illegalmente il compenso del morto. Un caso di quasi omonimia
La sede dell'Inps
La sede dell'Inps

È in perfetta salute ma l’Inps lo credo morto e invia una lettera alla moglie per chiedere indietro i soldi della pensione del marito che avrebbe percepito illegalmente. È accaduto a un triestino, che ora si trova a dover dimostrare all’Istituto nazionale della previdenza sociale di essere vivo. Questa follia burocratica è iniziata due mesi fa, quando la moglie dell’anziano, che preferisce restare anonimo perché il procedimento è tuttora in corso, riceve una raccomandata.


Nella lettera le viene richiesto un rimborso, perché avrebbe percepito erroneamente parte della pensione del marito, che all’Inps risulta deceduto. All’inizio i due coniugi ci scherzano su, tra qualche gesto scaramantico e qualche risata con i familiari, poi però scoprono che l’errore non è facilmente risolvibile. Scatta quindi una trafila burocratica, non ancora conclusa.


«Leggendo le righe recapitate a casa ci siamo accorti che si trattava subito di un caso di omonimia – spiega l’uomo – la persona scomparsa ha il mio stesso nome e il cognome simile, ma non identico, ha una consonante in meno rispetto al mio. Strano non sia stato fatto un controllo più attento, magari attraverso la verifica del codice fiscale o della città di residenza».


Il pensionato pensa che lo sbaglio si possa comunicare con una telefonata, ma non è così. «Ho chiamato subito il numero verde indicato, ma mi è stato detto che prima avrei dovuto pagare comunque la somma richiesta e poi aspettare il rimborso. Non è mi sembrato un comportamento corretto, quindi non ho versato nulla». La somma richiesta sarebbe la differenza tra la pensione di reversibilità che viene riconosciuta alla vedova e quella effettiva.
L’uomo non ci sta a sborsare una somma inutilmente e decide di spedire una raccomandata con ricevuta di ritorno alla sede dell’Inps dalla quale è stata inviata la prima lettera. Chiede delucidazioni, chiarimenti sul nome e il cognome trascritto, sottolinea la sua reale identità e soprattutto ribadisce come lui sia vivo e vegeto. «Il 22 settembre ho spedito la raccomandata, che mi risulta correttamente ricevuta, ma finora non ho ricevuto alcuna risposta». Altri casi sono stati segnalati in alcune città italiane nei mesi e negli anni scorsi, persone alle quali la pensione è stata poi bloccata, “morti sbagliati” insomma, che si ritrovano a dover telefonare all’ente in un misto di stupore, rabbia e ilarità.


«Buongiorno, volevo comunicarvi che sono vivo». Al malcapitato triestino per ora la pensione è sempre arrivata puntuale, ma manca ancora la risposta che cerca. «Aspetto che mi venga ufficialmente comunicato che la somma richiesta non dev’essere versata – precisa – mia moglie non deve niente all’Inps. Vorrei anche capire come possono verificarsi casi come il mio, quando si scambiano in questo modo nomi o cognomi. Mi auguro che arrivi una comunicazione che confermi come tutto sia in regola». «Per il momento – scherza l’uomo – spero che l’episodio mi porti fortuna, magari mi ha allungato la vita!».
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