La lotta alle mafie raccontata dal pm di Reggio Calabria Lombardo

«Gestisco attualmente 102 inchieste, ognuna delle quali coinvolge una cinquantina di indagati: quando lo raccontai a un giornalista inglese, per poco non cadde dalla sedia. Negli altri Paesi europei...

«Gestisco attualmente 102 inchieste, ognuna delle quali coinvolge una cinquantina di indagati: quando lo raccontai a un giornalista inglese, per poco non cadde dalla sedia. Negli altri Paesi europei i magistrati si occupano in media di due indagini alla volta: questo per rendere l'idea della mole di lavoro che abbiamo». Il pm Giuseppe Lombardo, magistrato del Dda di Reggio Calabria, ha snocciolato così alcuni dati che riguardano la lotta antimafia in Italia. Lo ha fatto l'altra sera nel corso della penultimo incontro di CormonsLibri, al quale per motivi di sicurezza non è potuto intervenire anche il suo collega di Palermo Nino Di Matteo. Un intervento, quello del giudice, superblindato, da anni infatti vive sotto scorta dopo aver ricevuto minacce di morte proprio a causa del lavoro di contrasto alle mafie, in particolare alla ’ndrangheta. «La criminalità organizzata è una sola, di cui quella di origine calabrese è attualmente la più ricca, potente e pericolosa», ha evidenziato il giornalista Giorgio Bongiovanni nella sua introduzione a Lombardo. Il quale ha convenuto: «La mafia è un insieme di sistemi molto evoluti e difficili da individuare. E Reggio Calabria, in questo senso, è il cuore pulsante, la casa madre, la capitale storica da cui si diramano tutte le articolazioni in modo molto moderno. «Arrestiamo per reati riconducibili alla mafia nella sola provincia di Reggio tra i 1500 e le 1800 persone all'anno: è il dato più alto d'Italia, e forse lo è di tutto il mondo». Il modello offerto dalla ’ndrangheta nel mondo della malavita è il più affidabile, ricco e vincente, perché il calabrese mafioso è un soggetto criminale molto serio, capace di dare garanzie che altri non sono in grado di fornire». Lombardo, che in mattinata aveva incontrato a teatro i ragazzi delle scuole superiori ha aggiunto come nelle sue indagini «prediliga operare come un ricercatore scientifico: non bisogna partire ogni volta da zero, ma dai risultati ottenuti da altri prima di noi. E così facendo si acquista un'esperienza formativa solo con gli anni: oggi, dopo dieci anni come responsabile del Dda di Reggio, so riconoscere guardandola negli occhi se una persona è tratta un ’ndranghetista». (m.f.)

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