La Melato disse no alla Rai per non tradire Ronconi

Lo scrittore e drammaturgo Furio Bordon ricorda la sua amicizia con la grande attrice scomparsa sabato, e rievoca un episodio poco noto della sua carriera
Di Furio Bordon

di FURIO BORDON

L’ultima volta che ho visto Mariangela Melato è stato qualche anno fa, quando debuttò al “Rossetti” con “Sola me ne vo”. Dopo lo spettacolo andai a salutarla in camerino e rimasi sorpreso da quanto fosse ancora affascinante, nonostante i suoi quasi settant’anni. Glielo dissi. “Sei più bella oggi - le dissi - di quando avevi vent’anni”. «Accidenti - mi rispose - dovevo essere un bel cesso!».

Ecco, questa era Mariangela, una delle persone più spiritose che abbia conosciuto.

Ci eravamo incontrati da giovani, in occasione dell’allestimento di una mia commedia, nella quale Mariangela era la protagonista femminile. Siamo diventati subito amici - era facile fare amicizia con lei - e le ore che abbiamo trascorso insieme le ricordo come un tempo di grande leggerezza e divertimento. La sua simpatia, il suo senso dell’umorismo, avevano una valenza superiore alla sua bellezza fuori schema e creavano un rapporto scanzonato e sereno.

Mariangela sapeva mettere a proprio agio chiunque e non si è mai data importanza, nemmeno dopo aver raggiunto il proprio successo. Se la incontravi a distanza di anni, ti sembrava di averla lasciata il giorno prima e ritrovavi subito la ragazza ottimista e decisa che aveva scelto di puntare la sua vita sul teatro.

Nel lavoro, pur senza esserne ossessionata, dimostrava una serietà assoluta, come tutte quelle giovani donne che decidono di fare il mestiere dell’attrice non perché un giorno, guardandosi allo specchio, si sono trovate belle, ma perché vogliono costruire la propria esistenza su un modello di grande libertà, soprattutto sul dare e ricevere grandi emozioni, e per farlo sono pronte a studiare, a imparare dai colleghi, a faticare, perché il palcoscenico è fatica, sia fisica che mentale. Ma è anche, per una donna, il mestiere più bello del mondo. E di questo Mariangela era profondamente convinta.

La serietà, oltre naturalmente alla bravura - l’ha premiata dall’inizio della sua carriera, che si impennò di colpo proprio grazie a un episodio in cui le si era presentata una scelta difficile. Credo siano in pochi a conoscerlo.

Io ero a Roma da qualche giorno e andai a farle visita. La trovai perplessa e vagamente scontenta. Era successo che aveva ricevuto l’offerta della Rai di entrare in un’edizione televisiva de “Le tre sorelle” di Cechov con la regia di Orazio Costa. A quel tempo Costa godeva dello “status” di maestro indiscusso delle scene italiane, e recitare con lui era l’ambizione di tutti i giovani attori. Senonché lei, una settimana prima, si era impegnata sulla parola con un altro regista, un giovane promettente, ma ancora poco conosciuto, il quale aveva in testa un bizzarro progetto di teatro di piazza.

Si trattava dunque di ritirare con una qualsiasi scusa la parola data e accettare l’offerta tanto più allettante e sicura della Rai. Alla fine Mariangela decise con molta semplicità che «queste cose non si fanno» e formalizzò senza rimpianti la sua partecipazione al progetto del giovane regista. Che si chiamava Luca Ronconi e che le assegnò la parte della maga Alcyna nel suo “Orlando furioso”, spettacolo rimasto leggendario nella storia del teatro italiano, così come straordinaria venne giudicata da tutti l’interpretazione di Mariangela, che da quel punto prese il volo.

Un bel colpo di fortuna, potrebbe dire qualcuno. Forse, ma io credo che a farle vincere il piatto in quell’occasione siano stati il suo intuito mercuriale, l’allegro gusto per la sfida, soprattutto la sua integrità professionale. Virtù senza le quali anche l’eccezionale bravura non sarebbe bastata a fare di lei la grande attrice e la bella persona che abbiamo amato.

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