La passione e la forza della parola Così Machiavelli seduce il Verdi

Pienone alla Lezione di storia del professor Viroli dedicata al poliedrico intellettuale fiorentino



«Venendo a teatro ho notato un ragazzo che leggeva Machiavelli, mentre faceva la fila per entrare, e ho pensato che forse allora c’è ancora speranza». A raccontare l’episodio, dal palco del Verdi, è stato Maurizio Viroli, protagonista della Lezione di storia di ieri. Se il gesto del giovane è stato capace di impressionare il professore, quest’ultimo ha ricambiato tenendo con il fiato sospeso per più di un’ora il pubblico triestino, che è accorso numerosissimo anche per il quinto appuntamento con la rassegna ideata come sempre dagli Editori Laterza, promossa dal Comune di Trieste con il contributo della Fondazione CRTrieste, la sponsorizzazione di Trieste Trasporti e la media partnership del Piccolo.

Viroli, introdotto dal giornalista Pietro Spirito, ha approfondito il tema di quest’anno, “I volti del potere”, andando a indagare le sfaccettature del “potere della parola e delle armi” nel pensiero e nella biografia di Niccolò Machiavelli (1469-1527).

Archetipo del genio rinascimentale, il poliedrico intellettuale fiorentino – storico, filosofo, poeta ma anche uomo politico – è infatti convinto che la capacità di padroneggiare la parola sia necessaria tanto quanto l’uso della forza, nella gestione dello Stato e nella sua difesa: «Niccolò scrive che servono anche capitani che sappiano parlare ai loro soldati – ha spiegato il docente –. Perché? Ma per la forza della parola, che “lieva” il timore, accende gli animi, accresce l’ostinazione, scopre gli inganni, promette premi, mostra pericoli e la via di fuggirli, e ancora riprende, prega, minaccia, riempie di speranza, loda, vitupera e fa tutte quelle cose per cui le umane passioni si spengono o si accendono».

Ma non solo. Machiavelli stesso «scrive non da filosofo né da scienziato, bensì da oratore. Il suo scopo è stimolare l’azione in chi lo ascolta». La forza della parola genera infatti anche «coraggio, amore della patria, determinazione, attenuando al contempo l’invidia e le passioni maligne. Le passioni sono in generale il motore della vita politica, ciò che ci rende umani, e Machiavelli lo sa benissimo. La parola serve inoltre per formare i cittadini e ispirare grandi capi politici, in grado di redimere l’Italia». E ancora: «Quando è ormai vecchio e disilluso, Niccolò dispera di essere colui che potrà salvare l’Italia dalla corruzione. Confida tuttavia nel futuro, perché “questa provincia pare nata per resuscitare cose morte”. Vorrei che avesse ragione. Venendo a teatro ho visto un ragazzo che leggeva un suo libro e ho pensato che forse allora c’è ancora speranza. Vorrei complimentarmi con quel giovane», ha detto il professore, interrotto dagli applausi spontanei del pubblico.

«La forza della parola di Niccolò sta nella sua sincerità: ciò che scrive corrisponde alla sua interiorità – ha poi concluso –. Ci mette l’anima. Quando esorta gli italiani a liberarsi dalla corruzione, sentiamo la sua passione e il suo sdegno. Alla fine della sua vita scrive: “La mia povertà è la prova della mia onestà”: non è mai stato smentito dai nemici. Prima di morire scrive anche di amare la sua patria sopra ogni altra cosa. Avremmo bisogno non di esperti di comunicazione, bensì di leader guidati appunto da un autentico amor patrio, soprattutto in questi nostri tempi così difficili». —



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