La pasta e fagioli divorata da Nek e il pane “accogliente” degli Ota

di NICOLÒ GIRALDI
Se la città di Maribor ha deciso nel 2005 di donare l'innesto della vite più vecchia del mondo alla comunità di Bagnoli, allora si capisce subito che questo territorio ha un doppio legame con il mondo sloveno. Ed è da qui, da questa geologia particolare, ai confini con l'Istria eppure ancora Carso, che parte il viaggio all'interno dei paesi della provincia di Trieste.
La piazzetta di Bagnoli ospita alcune attività commerciali e i volti di persone tra le più diverse; ci si può imbattere in turisti arrivati sino a qui dall'Austria o dal Regno Unito per visitare l’incanto della Val Rosandra, oppure semplici paesani che si recano in farmacia, per bere un caffè o ancora qualcuno che osserva la pietra da macina realizzata da Roberto Pettorosso nel 2011. «Come bar e panetteria siamo qui da tre generazioni - racconta Mitja Ota, titolare dell'omonima attività -. Mia nonna partiva con l’asino da Boljunec per raggiungere Trieste e andare a vendere generi alimentari mentre è stato mio padre ad avviare l'attività artigianale qui in paese. Era una cosa strana, un tempo il pane lo facevano solamente le donne e gli uomini lavoravano la terra. Mio padre ha invertito il trend, diciamo così».
Dietro al bancone si agita con eleganza Lisa, la ragazza giovane che qui lavora da anni. «Ci si conosce tutti qui dentro. Quando capita che arrivi qualcuno da fuori allora cerchiamo di indirizzarli al meglio anche sulle cose da fare qui in valle». A Mitja sta a cuore questo approccio. «Creare una rete qui a Bagnoli per fare in modo che i tanti turisti possano trovare un ambiente favorevole», spiega mentre mostra la mappa della Val Rosandra realizzata in quattro lingue, che si trova un po’ dappertutto qui a Bagnoli. «Sono parecchie le persone che arrivano da fuori. Austriaci, cecoslovacchi e anche spagnoli». Mitja produce anche gelato in maniera artigianale, grazie agli alberi da frutta che possiede. Pesche, mele, albicocche, fragole, tutto quanto “domaco”, mentre invece i meloni glieli porta un contadino di Ancarano.
Due passi verso l'uscita e ci si ritrova in un attimo all'interno del local market della famiglia Starec. «Principalmente questo è un punto vendita di prodotti locali, soprattutto olio e vino - esordisce così Roberto -. Possediamo un frantoio che poi negli anni abbiamo sviluppato. Se entrano turisti qui dentro? Sì, qualcuno sì, ma quelli che fanno nordic walking con i bastoncini si portano tutto da casa, la merenda, l'acqua, praticamente non hanno bisogno di niente». Erik è il titolare di questa attività: «apriamo tre giorni a settimana, da giovedì a sabato e siamo felici di promuovere la cultura del nostro territorio». Sulla parete compare una fotografia di quella Crvena Zvezda campione d'Europa nel 1990, di cui i tantissimi tifosi, nel viaggio verso Bari, passarono anche per Trieste.
Gregor Znidarcic è socio della Slovensko Planinsko Drustvo, che gestisce una piccola sede a due passi dalla chiesa. «Siamo qui soprattutto in estate, quando si tengono le sedute del direttivo o in versioni ridotte in base alle diverse sezioni. Attualmente ci stiamo attrezzando per far diventare la nostra casetta un punto di riferimento per i nostri soci e in futuro un punto di appoggio per camminatori, escursionisti o alpinisti che si avventurano nella Glinscica. Bagnoli è un punto fondamentale per quanto riguarda i sentieri o itinerari segnati dalla nostra associazione. La Verticale Spdt e il sentiero di Zorko Jelincic sono due tra i più importanti».
Non ci sono solamente attività commerciali o associazioni, qui a Bagnoli. L'associazione Zenobi infatti ha creato nel corso degli anni il museo dedicato alla Prima guerra mondiale. Roberto Todero cura con amore tutto ciò che ha a che vedere con l'esposizione permanente. «Dall'apertura avvenuta nel febbraio del 2015 abbiamo avuto moltissimi visitatori. Le provenienze sono le più varie, direi da tutto il mondo». All'interno dello spazio ci si muove tra divise d'epoca, ricostruzioni e modellini, carte geografiche a parete, libri, reperti e cimeli storici. «Lavoriamo anche molto con le scuole, sia slovene sia italiane, e raccontiamo loro vicende che non sempre sono conosciute». Pur non direttamente interessato ai fatti d'arme, il comune era parte delle retrovie del fronte dell'Isonzo. «Alle spalle del paese c'è il monte San Michele, sede di un campo trincerato, ottimo posto di osservazione verso la piana di Zaule. Pochi ricordano questi luoghi, purtroppo», racconta Roberto che conclude con una piccola nota: «Il 2018 vorremmo contraddistinguerlo da una riflessione sull'inutilità di tutte le guerre». La val Rosandra possiede - dopo qualche periodo di non sempre efficiente servizio - anche il centro visite. Dal 17 marzo è gestito dalla cooperativa Rogos e Tina ne è la referente. «Dal primo giorno di gestione ad oggi abbiamo avuto più o meno 700 visitatori ed è sostanzialmente un buon numero. All'interno del centro ci sono delle cose che dobbiamo sistemare, è evidente, tuttavia abbiamo buonissimi margini di miglioramento». In effetti la simulazione del profumo del pino nero che assomiglia all'erba luigia è qualcosa che va sistemato, ma è indubbio che fa parte del lascito della gestione precedente. «Abbiamo ricevuto l'incarico diretto dal Comune di San Dorligo e saremo qui fino al 31 dicembre di quest'anno, in attesa che venga redatto il bando per una gestione pluriennale del centro visite».
Da qui poi non si può non giungere fino al rifugio Premuda, storico punto di riferimento per tutti gli amanti della val Rosandra. Egle e David gestiscono questo luogo incantato da ormai 26 anni. «All’inizio non è stato facile entrare all'interno della comunità - afferma Egle -, anche se poi con il passare del tempo le cose sono migliorate notevolmente». Per i gestori l'importante è riuscire a collaborare con le diverse realtà del territorio. «Non avendo posto dove ospitare, indirizziamo verso i diversi affittacamere della zona i tanti turisti che vogliono passare la notte qui in valle». Qualche tempo fa è passato anche Nek dal rifugio. «Vederlo magnar pasta e fasoi xe 'sta 'sai cocolo», scherza così Egle.
Da Bagnoli poi questo primo giorno di viaggio nei paesi si conclude a San Dorligo, nell'atmosfera della Trattoria sociale, che per tutti è da Niko. «Pensa che ho clienti che vengono qui ogni giorno da quando abbiamo aperto», racconta il gestore. Vicino a lui, dall'altra parte del bancone un avventore ricorda che «i calamari che fa lui xe mondiali». Sono cartoline di mondi distanti dalla città, eppure così autentici nella loro semplicità. Una cintura che avrà pure molti problemi - l’odore maleodorante dell’oleodotto, lo sfregio della val Rosandra di qualche anno fa, alcune difficoltà ad aprirsi a chi viene da fuori - ma che alla fine rappresenta bene ciò che sopravvive attorno a Trieste.
Il cimitero poi si apre immediatamente dopo aver visto uno spazio per la raccolta dei vestiti, di quelli che i triestini normalmente identificano con la Caritas. È gestito - da “etichetta” - dalla Cooperativa La Quercia ed è completamente abbandonato a se stesso, la maniglia che dovrebbe tramutare lo spreco in necessità, sembra non accogliere una disinteressata generosità. La finestra di tempo da dedicare al campo santo è doverosa; qui si possono capire le origini, le radici, alcune identità - e l'abuso alla quale questa parola è continuamente sottoposta in periodi di transizione, come solo le crisi sanno manifestare. Chiudersi la porta alle spalle non serve. Questi luoghi continueranno a dare il dobro jutro - non il buongiorno - e saranno spesso voce critica, a volte insolente, eppure così rigorosa, nella quotidianità slovena ai margini della città.
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