La prima ipotesi: stava preparandosi alla pesca di frodo

Ma l’assenza di attrezzature idonee sul luogo fanno supporre la presenza di un’altra persona poi datasi alla fuga
Di Fabio Malacrea

Pesca di frodo con esplosivo: è questa la pista più accreditata dagli investigatori che stanno indagando sulla morte di Alessandro Pin, il 52enne ronchese dilaniato all’alba di ieri da un rudimentale ordigno scoppiatogli tra le mani. A suffragarla sono le caratteristiche dell’ordigno - un tubo di plastica carico di polvere da sparo innescato da una breve miccia -, il luogo isolato scelto da Pin per confezionare la bomba (la diga vicino all’oasi faunistica della Cona, zona assai ricca di pesci in quanto protetta), l’ora mattiniera, garanzia che nessuno potesse passare di lì. Ma i carabinieri non scartano altre piste: quella del suicidio, ad esempio, peraltro la più inverosimile. O quella della scelta di un luogo appartato e sicuro per confezionare un ordigno da non maneggiare, per ovvie ragioni, in garage o in cantina. Un fatto peraltro è certo. Alessandro Pin aveva dimestichezza nella confezione di ordigni esplosivi: lo conferma l’attrezzatura rinvenuta attorno al corpo dilaniato: pinzette di vario tipo, filo elettrico, nastro adesivo, cerini, candele e un pezzo di tubo avvolto da nastro adesivo.

L’ipotesi che Pin stesse preparando una battuta di pesca di frodo con l’esplosivo, dunque, è la più accreditata. Ma ha alcuni punti deboli per nulla irrilevanti. Ci sono incongruenze che i carabinieri del Norm di Monfalcone e della stazione di Staranzano stanno ora cercando di chiarire. Prima fra tutte l’assenza sul luogo dell’esplosione di attrezzi e indumenti da pesca: nè un retino per raccogliere il pesce spinto a pelo d’acqua da una deflagrazione, nè stivaloni di gomma, indispensabili per poter entrare nella Quarantia, nè un’imbarcazione, nè un contenitore per raccogliere tutto il pesce che il botto sicuramente avrebbe fatto affiorare. Pin quindi potrebbe essere stato il fornitore dell’esplosivo. E con lui, sulla diga, all’alba di ieri potrebbe esserci stata un’altra persona, un “addetto” alla raccolta del pesce munito dell’attrezzatura necessaria. Come è pure possibile che quest’uomo misterioso sia giunto sul posto a esplosione ormai avvenuta. In ogni caso si sarebbe allontanato una volta resosi conto della disgrazia.

Dovesse cadere la pista della pesca di frodo, c’è da chiedersi a cosa dovesse servire l’ordigno esploso tra le mani a Pin. E qui la gamma delle supposizioni si amplia. Certo è che nel passato del 52enne ronchese, un operaio alquanto solitario, non ci sono macchie rilevanti: nessun precedente penale che possa avvalorare l’una o le altre tesi.

Le indagini cercheranno anche di chiarire, con il supporto della Scientifica che ha esaminato a lungo la scena della disgrazia, la struttura dell’ordigno e le ragioni che hanno provocato lo scoppio: un errore o forse un eccesso di sicurezza che sono costati la vita ad Alessandro Pin, operaio con la passione per gli esplosivi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo