La Salus festeggia 50 anni e racconta i tempi eroici

In un libro la storia della casa di cura fondata dal medico Ottaviano Danelon Dal progetto di Romano Boico agli arredi ideati da Semerani e Tamaro
Di Gabriella Ziani

Mitici anni Sessanta, quando si poteva dire “costruiamoci un ospedale”, e costruirlo nel giro di pochi anni, con soluzioni alberghiere e tecnologiche d’avanguardia, con soci privati, tutti medici, trovando architetti di grido, litigando furiosamente ma arrivando sempre alle soluzioni, e facendo in fretta, con passione. Ora quell’ospedale è sempre lì, si è ampliato, è talmente “convenzionato” con la sanità pubblica da ricavarci il 90% del suo fatturato, e per replicare l’impresa ha fondato una propria costola a Tirana, in Albania, dove - si dice - il post-comunismo ha creato condizioni simili a quelle dell’Italia del “boom”. Così si racconta la Casa di cura Salus, che compie 50 anni.

Oggi verrà presentato il volume che ne fa la storia, ricco di fotografie dell’epoca. Edito dalla Lint a cura di Daniela Gross, contiene anche interviste e interventi: dei progettisti che curarono soprattutto impianti e arredi (Luciano Semerani e Gigetta Tamaro), di medici che vi hanno lavorato e vi lavorano. Col ricordo imponente di Romano Boico, che della palazzina di via Bonaparte firmò il primo progetto, e di cui resta la facciata. Una lite finita in tribunale lo separò a un certo punto dal committente, Ottaviano Danelon, il tenace creatore della Salus.

Ottaviano, padre dell’attuale presidente Guglielmo Danelon, si affaccia alla gioventù con un disastroso dramma, è deportato ad Auschwitz con la madre, che lì morirà. Tornato a Trieste sarà medico alla Casa di cura triestina di via San Francesco (di proprietà della Cri e da anni in abbandono). Diventata piccola la sede, ecco l’idea di fondarne una nuova. L’area viene individuata in via Bonaparte. Danelon va perfino negli Stati Uniti per studiare il modello più aggiornato di ospedale, e quando il 7 dicembre 1961 la Salus verrà inaugurata con il sindaco Mario Franzil e il vescovo Antonio Santin, quella clinica (privata) sembrerà fantascientifica in una Trieste il cui ospedale è l’austroungarico Maggiore, con ben 1000 letti, cui si affiancano il Santorio per la pneumologia, la Maddalena per gli infettivi, il Gregoretti per i lungodegenti, il palazzo di via Farneto dell’Inam con ambulatori e sala operatoria, e i privati Sanatorio triestino, clinica Igea, casa di cura Goldschmidt (prossima a chiudere) e la Casa di cura di via San Francesco.

Danelon ha procurato stanze a un letto e con bagno, “suite” con salotto e balcone, settimo piano con ristorante, letti di degenza mobili, sistema radio per la chiamata degli infermieri, ricambio d’aria costante, sale operatorie e strumentazioni d’avanguardia. Nella storia della Salus ci sono dunque i “dozzinanti”. La vedova Angela Danelon, che ha condiviso per una vita battaglie e successi, ricorda oggi che la “buona società” triestina si ricoverava portando con sè raffinatissime lenzuola da casa. I bambini “vip” nascono tutti lì, il Burlo si svilupperà qualche anno dopo.

Ma i tempi cambiano in fretta. Nel 1978 nasce il Servizio sanitario nazionale, sempre meno i pazienti “privati”. La Salus diventa supporto della sanità pubblica. Si amplia per la parte ambulatoriale nell’attiguo palazzetto Pisani. Infine, salta fuori l’ipotesi di Tirana. E nel gennaio 2012 il Salus-bis è inaugurato.

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