La strana via 25 Maggio Celebra i primi soldati italiani giunti a Romans

Edo Calligaris/ROMANS

“Via 25 Maggio” potrebbe esistere solamente a Romans d’Isonzo. Non ci sono conferme, ma potrebbe essere l’unico Comune d’Italia a vantare una simile strana intitolazione, tanto da far spesso pensare, a chi legge quell’indirizzo su qualche lettera o documento, che si tratti di un errore, ben sapendo che in Italia esistono tantissime strade denominate “Via 24 Maggio”, in riferimento al 24 maggio 1915, data in cui il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, dichiarò guerra all’Impero asburgico.

Non è così. “Via 25 Maggio” a Romans esiste ed ha una sua motivata ragione. Alla fine della Grande guerra, infatti, fu così intitolata la strada che da Romans porta nella frazione di Versa e fin lì denominata “Via di Versa”. Fu cambiato il nome per ricordare il giorno in cui i primi soldati italiani giunsero in paese. Infatti, il 24 maggio 1915, alle 15.30 – ha scritto lo storico Lucio Fabi sul libro “La guerra in casa” – «le prime truppe italiane, bersaglieri a cavallo, giunsero a Versa. Romans, invece, diviso da Versa dal ponte sullo Judrio, bruciato dagli austriaci il 24 maggio stesso, venne raggiunto il giorno dopo, il 25 maggio di 105 anni fa, da alcune pattuglie di lancieri del Genova Cavalleria ed occupato in forze nei giorni successivi dall’XI Bersaglieri del maggiore Ceccherini, ufficiale eroico e guascone, che nel luglio seguente riuscirà a conquistare temporaneamente la vetta del Monte San Michele e che poi diventerà generale dopo Caporetto. All’arrivo dei primi soldati – ha scritto ancora Fabi – l’amministratore della ricca Parrocchia di Romans (possedeva più di 200 campi), don Giovanni Tarlao, di Grado, presente a Romans da alcuni anni, professava inediti sentimenti irridentisti e, caso unico nella zona, rimase al suo posto a svolgere le funzioni di parroco, mentre altri due sacerdoti, don Ernesto Galupin, curato di Bruma e rifugiato a Romans, assieme al cooperatore di Tarlao, don Enrico Sartori, ripararono a Firenze come profughi». Giunti a Romans, i soldati italiani mostrarono molta diffidenza anche nei confronti dei romanesi, come in tanti altri centri, tant’è che un testimone del tempo, Angelo Comuzzi, 19 anni, – stando sempre a quanto scritto da Fabi – disse che «i soldati italiani erano a cavallo, con le rivoltelle puntate. Davanti alla trattoria dei Barnaba chiesero a Comuzzi di andare a comperare le sigarette e portare loro un secchio d’acqua da bere. Comuzzi gli portò l’acqua ed i soldati gli chiesero di berla prima lui, temendo fosse avvelenata».–

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