La stufa neoclassica di via Mazzini 1 che racconta la storia

Un manufatto unico d’epoca napoleonica della famiglia di Ernesto Dandini de Sylva 

PUNTI DI VISTA



Alta un paio di metri, una bella stufa in ceramica d’epoca napoleonica, in stile neoclassico ornata di fregi e festoni in una cornice architettonica a paraste, al 2° piano di via Mazzini 1, che in base al protocollo di rilevazione del 30 novembre 1889 risultava al Catasto tavolare a nome di Luigi Alvian fu Giobatta per la bottega dove oggi si trova il bar e a Dandini de Sylva Conte Filippo fu Filippo per il resto dell’edificio, dove c’era uno dei due negozi di Riavez Radio.

Sulla fotografia datata settembre 1972 un corsivo anonimo riporta “Stufa in ceramica Secolo XV?” con il punto di domanda che giustifica l’eccessiva approssimazione circa la vetustà del manufatto per il quale pare che l’Ufficio della Soprintendenza di Gorizia, nell’archivio del quale si trovava l’immagine, avesse intrapreso iniziativa di tutela assieme all’edificio, forse per scongiurare al suo posto un altro condominio come quello nella torre di via Crispi 15, autorizzata attorno il 1960 dalla Soprintendenza sul sedime corpo posteriore della villa urbana del nobile Livio de Grabiz e consorte Elisabetta Attems Santa Croce, del 1750.

Della famiglia Dandini de Sylva, per Gorizia fu importante Ernesto (1872-1957), nato a Monfalcone, laureato in giurisprudenza a Graz e il 23 maggio 1915 nominato Commissario civico governativo della città durante la Prima Guerra Mondiale, dopo lo scioglimento del consiglio comunale retto dal podestà Giorgio Bombig. Divenuto cittadino italiano dopo il 1918, fu vice Prefetto a Treviso per ritirarsi in pensione a Gradisca d’Isonzo, che a Dandini ha titolato l’incrocio tra via Udine e via Roma. Dopo la presa di Gorizia, alle funzioni di Commissario regio venne preposto il maggiore dei Carabinieri Giovanni Sestilli, fino a quando dopo Caporetto l’Esercito italiano dovette abbandonare la città.

A Dandini venne raccomandato di «essere energico e di procedere in modo severo e senza riguardi contro gli elementi avversi all’Austria, in particolar modo contro gli irredentisti, parlando di licenziamenti e persino di arresti di persone». Ricorda però nelle sue memorie Luigia Candutti che il 26 ottobre 1917 «vengono i carabinieri in casa con l’ordine che la popolazione deve sgombrare. Non sappiamo cosa fare non ci si lascia portare via la roba... dobbiamo andarcene... con i nostri due sacchi e addio Gorizia, addio tutto, dopo tanto soffrire si viene alla conclusione di lasciarci portar via l’anima, il cuore. Dopo 4 giorni di sofferenze e spasimi ci sbarcano come colli a Viareggio e da qui non ci si muove. Non giovano preghiere e spiegazioni per farci raggiungere i nostri a Roma, siamo trattate da veri cani, ora siamo le profughe che hanno bisogno e per le quali non si deve aver riguardi. Il commissario italiano è peggio e più autoritario del Contin austriaco (il commissario civico Dandini) che Dio lo abbia in gloria! E ora sono un po’ più rassegnata sulla mia sorte ma mi è pesante assai trovarmi via di tutti». —





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