«La trasformazione di Casa Francol in hotel sacrifica quattro locali attivi in zona Urban»

La denuncia di Andrea Sinico, titolare di “Al Petes” di via Capitelli il cui dehors coincide con l’albergo prefigurato dal Comune 
Magr.
Foto BRUNI Trieste 16.04..2021 Citta vecchia-
Foto BRUNI Trieste 16.04..2021 Citta vecchia-

la polemica

«Allucinante».

Il giovane imprenditore Andrea Sinico segue alcune attività ricettivo-gastronomiche triestine, tra cui un nuovo residence in via XX Settembre e il buffet ex Mario in via Torrebianca (oggi «Monna de fer”, con lieve variazione rispetto all’originario soprannome).

Ma la sua più affezionata creatura è l’osteria “Al Petes” in via dei Capitelli, zona Urban in Cittavecchia. «Un investimento da 1 milione di euro», sillaba per non lasciare margine a dubbi e perplessità. Quell’allucinazione iniziale è provocata dalla lettura delle notizie su Casa Francol, una vecchia utopia comunale che sembra uscire dall’onirismo amministrativo per mezzo del nuovo Piano del centro storico, strumento che consentirebbe alla secentesca stamberga di diventare un albergo, accrescendo l’appetibilità del recupero su cui esiste un project financing da 4,5 milioni.

Senonchè l’eventuale riqualificazione dell’edificio e la contestuale costruzione di un nuovo stabile a fianco in un fazzoletto di terra chiamato Umi 13 metterebbero a repentaglio - Sinico ne è sicuro - l’esistenza di quattro locali che vivono attorno a casa Francol: uno è il suo “Petes”, poi “La bettola”, la taverna “Sapori greci”, “Maita” (ex “No”). Tra sbancamenti e malta, addio ai dehors e a buona parte dell’incasso. «Visto il periodo Covid che ci ha fortemente colpito - martella il giovane Sinico mostrando “in presenza” i luoghi coinvolti - un progetto, come quello di casa Francol, sarebbe esiziale».

L’imprenditore così prende carta e penna per riepilogare: «Abbiamo un contratto d’affitto con il Comune firmato nel 2016, per cui paghiamo un annuale di 2.600 euro per un centinaio di metri quadrati all’aperto in Umi 13. Onde mettere a posto l’appezzamento e consentirne l’allestimento, abbiamo speso 30.000 euro: livellamento del terreno, telecamere, utenze, ecc.». «Avevano chiesto di comprarlo - insiste Sinico - ma per il Comune era indisponibile». «Se parte casa Francol - precisa - solo “Al Petes” lascia sul campo il 50% dei proventi: possiamo chiudere i battenti».

Sinico, che in passato è stato consigliere provinciale di “Un’altra Trieste”, aveva avvertito di questo problema l’assessore Elisa Lodi e il direttore dei Lavori pubblici Enrico Conte. «Ma perchè ignorarci? Perchè non tentare di progettare il sito coinvolgendoci? Perchè, in un momento drammatico per le attività food & beverage, compromettere quattro gestioni?».—



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