La triestina Maria Vassallo è scomparsa a Lussingrande nel 2012. Il figlio: «Le indagini sono ferme e non so ancora cos’è accaduto»

Parla il figlio di Maria Vassallo, la triestina di cui si sono perse le tracce a Lussino

«Il corpo non è mai stato ritrovato. Da allora combatto contro la burocrazia»

Gianpaolo Sarti
Maria Vassallo, scomparsa nel 2012
Maria Vassallo, scomparsa nel 2012

TRIESTE La storia della settantaquattrenne triestina Maria Vassallo, scomparsa a Lussingrande il 31 luglio 2012 mentre era in vacanza, è destinata a rimanere un caso irrisolto. Sono trascorsi quasi nove anni, ma di lei non si è mai saputo più nulla. Niente. Sparita, letteralmente.

Ancora oggi il figlio Marco Garbelli non riesce a darsi una spiegazione logica su cosa può essere accaduto alla madre. Un incidente? Un suicidio? La signora è precipitata in mare? «Nessuno l’ha mai capito – riflette – ma qualunque cosa sia successo, il corpo prima o poi si sarebbe dovuto trovare. Se una persona cade in mare, ad esempio, a un certo punto ricompare trascinata dalle correnti».

Al figlio, che non si era mai arreso e fin da subito aveva tappezzato l'intera zona di foto segnaletiche, da Lussino a Cherso, oggi non rimane che ripercorrere con la memoria la cronaca di quei giorni. La signora, residente a Trieste in via Combi, in quel periodo era in villeggiatura nella località croata, dove passava abitualmente l’estate. Di lei si erano perse le tracce la mattina del 31 luglio.

Una testimone aveva riferito di aver visto la settantaquattrenne proprio la mattina della scomparsa: l’avrebbe notata all’Hotel Punta di Lussingrande, mentre prendeva il sole su una sdraio. La borsa e l’asciugamano da spiaggia di Maria erano stati successivamente rinvenuti nella stanza della pensione dove alloggiava la donna, la “Veli Losinj”, e il personale dell’Hotel Punta non aveva confermato la presenza dell’ospite triestina. I proprietari dell'albergo in cui soggiornava Vassallo fin dall'inizio della vacanza avevano avuto l'impressione che la donna non stesse bene. «Sembrava non avesse il senso dell'orientamento», raccontava il gestore. Le ricerche si erano quindi concentrate sulla costa e in mare; si ipotizzava che Vassallo, colta da un malore mentre percorreva la zona, potesse essere precipitata.

La polizia del posto aveva poi battuto i sentieri che portano alla collina di San Nicola, che in effetti la signora Maria avrebbe potuto imboccare per una passeggiata. Ma niente. Le unità cinofile del soccorso alpino di Fiume avevano quindi setacciato anche il Pod Javori, il giardino di una casa di cura che si apre su un bosco pieno di anfratti. Nessuna traccia. Gli agenti avevano sguinzagliato i “bloodhound”, i cani in grado di memorizzare l’odore delle persone annusando un oggetto del disperso. In Italia erano stati impiegati anche per Yara.

Le ricerche si erano estese oltreconfine, nell’ipotesi che la donna, in stato confusionale, potesse essersi allontanata da Lussino montando su un traghetto o un autobus senza conoscerne la destinazione. Una pista che le forze dell'ordine croate e il Consolato a Fiume avevano percorso con un mandato di ricerca internazionale in Italia, Bosnia, Albania e Montenegro, con il coinvolgimento dell’Interpol.

Della triestina si era occupata la maggior parte dei giornali della costa istro-dalmata e la sua immagine era stata diffusa nelle spiagge, alle fermate dei bus, sugli alberi delle pinete e sui pali della luce Il caso era stato seguito anche da “Chi l'ha visto”: una coppia emiliana aveva contattato la trasmissione sostenendo di aver parlato con una donna che assomigliava a Vassallo nei pressi di Abbazia. «Dovevo già essere in Italia, ma sono stata chiamata dal Signore…», avrebbe detto la settantaquattrenne. Il figlio si era recato lì, cercando tra le chiese della zona. Ma la segnalazione si era rivelata infondata: la persona citata dalla coppia emiliana era una parrocchiana, conosciuta dal sacerdote del posto.

Il figlio, sospettando un’aggressione con occultamento del cadavere, aveva anche tentato di far riaprire le ricerche attraverso il Consolato di Fiume chiedendo che si indagasse sulle persone con precedenti che abitano sull’isola. O anche su casi analoghi. Ma non se ne è mai fatto nulla: «Mi è sempre stato detto che non c’era alcun elemento per pensare a un fatto criminale e che le forze dell’ordine avevano fatto di tutto per le ricerche», osserva Garbelli. «Da quelle parti ci sono molte case abbandonate e chiuse – rileva –, avevo domandato che si guardasse anche là, ma niente. Mi è stato ripetuto che non c’erano elementi per indagare e che era già stato fatto di tutto per cercare mia madre».

Al figlio, oltre a un grande senso di vuoto, non rimane che la gestione della burocrazia: «Mi sono sempre scontrato con questo muro – spiega – e fintanto che non trascorreranno dieci anni dalla scomparsa di mia madre, secondo la legge, lei risulta in vita. Solo dopo scatta la “morte presunta”. Sono stato nominato curatore e mi occupo delle incombenze amministrative, come le bollette, l’appartamento e la dichiarazione dei redditi. Per me resta un dolore sordo – conclude il figlio –, un dolore con cui si deve convivere. Resta anche la sensazione di essere soli di fonte all’immobilità delle autorità che non riescono ad andare oltre alle risposte burocratiche». —

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