«La vittima è stata narcotizzata e poi uccisa»

La criminologa Bruzzone parla di un omicidio avvenuto lontano dal parco: «L’assassino ha portato lì il corpo usando i grossi sacchi neri»

Laura Tonero
Roberta Bruzzone
Roberta Bruzzone

TRIESTE. Ha seguito il caso di Liliana Resinovich fin dal primo giorno. È aggiornata su ogni dettaglio della triste vicenda, inclusi gli ultimi sviluppi, e da quanto emerso finora si è fatta un’opinione ben precisa. Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa investigativa, vanta una lunga esperienza come consulente tecnico anche in casi che hanno avuto ampio risalto sulla cronaca giudiziaria: dalla strage di Erba all’omicidio di Sarah Scazzi, dal caso di Mario Biondo agli omicidi di Melania Rea e di Guerrina Piscaglia.

Che idea si è fatta di questo caso?

«Partendo dall’elemento iniziale, dalla vittima, credo si tratti di omicidio con occultamento di cadavere. L’elemento che tendo a privilegiare come chiave di lettura, è che si possa trattare di un femminicidio motivato da gelosia, possesso con un movente anche economico. La sua vita in queste settimane è stata scandagliata e non sono emerse altre criticità. È emersa invece l’idea di cambiare rotta e cambiare uomo. Aspetti che fatica a trascurare vista la fine fatta questa povera signora».

Il corpo è stato trovato con due sacchetti di nylon attorno al capo, legati sul collo. Era sistemato in due sacchi neri della spazzatura. Cosa ne deduce?

«Il confezionamento del cadavere con queste modalità mi fa fare due ordini di ipotesi: che si tratti di un omicidio di matrice asfittica, e che i due sacchi esterni posti sul cadavere siano serviti al trasporto del cadavere».

Perché scegliere i due sacchetti per soffocare la donna e non una corda, un laccio?

«I sacchetti sono stati utilizzati perché la vittima era già in una situazione di minorata difesa. Mi spiego meglio: il sacchetto serve come mezzo per uccidere quando si è di fronte a una persona che ha già perso i sensi o è sedata in modo profondo e non è in grado di difendersi. Quello è l’atto finale dell’azione omicida. Ed è quello che verosimilmente è successo alla signora Laura Ziliani (l'ex vigilessa di Temù, in provincia di Brescia, stordita da un mix di farmaci e poi soffocata, ndr)».

Liliana quindi potrebbe essere stata prima sedata e poi uccisa. C’è stata premeditazione quindi?

«Non si tratta certamente di un omicidio d’impeto, bensì di un omicidio progettato, in tutti i passaggi».

Perché gli uomini della Mobile hanno chiesto al marito se Liliana assumeva dei farmaci o comunque se c’erano dei farmaci in casa?

«È una richiesta coerente con l’ipotesi che la donna sia stata prima sedata e poi siano stati apposti i sacchetti per ucciderla. Credo che questo tipo di domande fatte al marito siano finalizzate a comprendere se effettivamente possa aver assunto farmaci inconsapevolmente, per consentire poi al suo assassino di poterla soffocare con quelle modalità».

Che profilo ha l’assassino di Liliana?

«Siamo di fronte ad una persona metodica, precisa, con tratti sufficientemente ossessivi, che non lascia nulla al caso e pianifica ogni mossa. Una persona con una grande capacità di controllo, e verosimilmente anche di manipolazione. Quello che è certo è che Liliana conosceva il suo assassino, e non si è difesa perché non ha interpretato questa persona come una minaccia, o quantomeno non ha avuto il tempo di capire che avrebbe potuto rappresentare una minaccia. Sono convinta che anche le indagini tossicologiche riserveranno qualche sorpresa».

Il delitto è avvenuto altrove, e il corpo è stato portato dopo in quell’angolo del parco dell’ex Opp?

«Sì. Il corpo non è stato sistemato tra i rovi subito dopo l’omicidio. Sono portata a pensare che il corpo sia giunto in quel punto in un secondo momento. Per questo l’assassino ha avuto la necessità di coprire la salma, perché trasportare un cadavere in fase di decomposizione indubbiamente comporta il rilascio di tante tracce, parliamo di liquidi biologici. Ecco quindi i sacchi neri. Il fatto che il cadavere fosse infilato proprio dentro due grandi sacchi di plastica spessa, mi porta a ipotizzare che gli stessi siano stati usati per il trasferimento del cadavere».

Il corpo non è stato gettato in una cavità carsica o giù da un dirupo, e neppure sotterrato, ma sistemato in un punto dove era inevitabile venisse prima poi ritrovato. Perché una scelta simile?

«L’obiettivo non era quello di far sparire il cadavere, ma di tardarne il ritrovamento. La volontà non era gettarlo in qualche cavità che lo averebbe ingoiato per sempre, ma farlo ritrovare in un momento in cui, secondo l’assassino, sarebbe stato più difficile comprendere le dinamiche e le cause della morte».

Argomenti:cronaca nera

Riproduzione riservata © Il Piccolo