Lasciare un caffè pagato, come a Napoli

Lo scrittore partenopeo Luciano De Crescenzo vi ha perfino titolato un libro, nel quale raccoglie degli aneddoti dal carattere filosofico legati alla vita quotidiana, «che vanno gustati in piccoli sorsi». Lo stesso cantautore Pino Daniele, nello storico brano “’Na tazzulella ‘e cafè”, ha detto la sua sull’argomento. Quella del caffè sospeso, infatti, è una tradizione antica, che affonda le radici nei quartieri popolari napoletani e lungo i banconi dei suoi bar.
«Quando un napoletano è felice per qualche ragione – scrive De Crescenzo nell’introduzione del suo libro – invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo». La tradizione partenopea, da qualche tempo, ha incominciato a valicare i confini campani e a espandersi nel resto dello Stivale, dopo alcuni anni durante i quali sembrava essersi appannata. La crisi, forse, o un rinnovato senso di solidarietà hanno fatto in modo che anche a Trieste ci si possa imbattere nella tazzina sospesa, lasciata in attesa dell’arrivo di un consumatore, meglio se non abbiente. Il porto di Trieste, del resto, è indissolubilmente legato al prezioso chicco, essendo diventato uno dei principali terminal di caffè del Mediterraneo. L’asse con la città di Napoli, quindi, non sorprende più di tanto, anche in considerazione delle peculiarità dei triestini, da più parti definiti come “i napoletani del Nord”, forse a riconoscimento di una certa estrosità.
Alle spalle del bancone del Ristobar 18ottanta, il caffè del gruppo Bosco che ha sede difronte alle carceri di via Coroneo, sono oltre una ventina gli scontrini in attesa di un legittimo proprietario, a garanzia di una bevanda già pagata che deve solamente essere gustata. «L’idea è venuta al nostro staff – spiega il responsabile del bar Alessandro Ivancich – come gesto di sensibilità verso le persone che non possono disporre nemmeno dell’euro per pagarsi una tazzina».
Quello di via Coroneo non è l’unico esercizio cittadino che si sta adoperando per diffondere questa simpatica usanza. La Rete nazionale del caffè sospeso, infatti, raccoglie fra le pagine del proprio portale tutti i locali che hanno aderito a questa iniziativa. A fare compagnia al Ristobar 18ottanta, in città, c’è il Teatro Miela, il bar Ferrari di via San Nicolò, il Caffè Trieste di via Ghega, la Stazione Rogers e il buffet Siora Rosa. «L’idea di fondo – continua Ivancich – è quella di donare una cortesia a un estraneo. I bar rappresentano una porta sul mondo, uno spaccato di quotidianità, nella quale non mancano le persone in difficoltà, alle quali far sentire un po’ di calore umano attraverso un gesto semplice quanto familiare». Un caffè, anzi due.
Luca Saviano
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