L’assassino di Monfalcone era ubriaco

MONFALCONE. Resta in carcere a Gorizia Massimiliano Ciarloni, il 33enne monfalconese accusato dell’assassinio di Eugen Melinte, l’idraulico di 20 anni accoltellato lunedì notte e rinvenuto esanime in un’aiuola di via Duca d’Aosta. Dopo l’udienza che si è svolta ieri mattina, il giudice delle indagini preliminari Paola Santangelo ha deciso di non convalidare il fermo, non sussistendone i presupposti, disponendo però la misura della custodia cautelare in carcere per omicidio volontario.
Secondo il magistrato esiste infatti il pericolo che il soggetto possa reiterare il reato. Escluse invece la possibilità di fuga, dato che Ciarloni avrebbe potuto dileguarsi subito dopo il delitto, e di inquinamento probatorio. Davanti al gip, assistito dall’avvocato Riccardo Cattarini, Ciarloni ha fornito la sua versione dei fatti, confermando in sostanza quanto in questi giorni è trapelato nonostante il riserbo mantenuto dalla polizia. Il 33enne avrebbe ammesso di aver conosciuto i due giovani Eugen Melinte e l’amico Alessandro Sollazzo al Passion Cafè, l’ex Bar Gessy di via Duca d’Aosta. Prima di quell'incontro gli erano entrambi estranei. Ciarloni era giunto lì assieme a un altro uomo, che lo aveva poi salutato per fare rientro a casa.
Davanti a un bicchiere avrebbe scambiato qualche battuta con i due ragazzi, in compagnia dei quali sarebbe poi uscito, attorno alle 3. Insieme avevano percorso via Duca d’Aosta. All’altezza della galleria Unicredit, Ciarloni - cui è stato successivamente riscontrato un tasso alcolico nel sangue pari a 1,1 - si sarebbe sentito minacciato. Al giudice avrebbe parlato di “strattonamenti”, di una “mano scivolata” là dove è cucita la tasca posteriore dei pantaloni. Spaventato, avrebbe dunque estratto il coltellino multiuso che portava con sè, diventato l’arma del delitto ormai a tutti tristemente noto. «L’ipotesi della volontarietà – ha commentato ieri l’avvocato Cattarini – solleva a questo punto grossi dubbi. Dalle risposte fornite dal mio assistito durante l’interrogatorio, invece, quella dell’omicidio preterintenzionale assume decisamente concretezza». Di avviso diametralmente opposto il legale nominato dalla famiglia Melinte, l'avvocato Roberta Bandelli, che ha assunto la rappresentanza della parte offesa assieme all'avvocato Elisa Moratti: «Il nostro punto di vista non è chiaramente lo stesso e sosteniamo invece la tesi opposta, cioè la volontarietà dell'omicidio». Ieri pomeriggio si è svolta l’autopsia, condotta dal medico legale Carlo Moreschi.
Un omicidio del tutto simile a quello di Monfalcone si verificò a Gorizia il 30 gennaio di sei anni fa. Alberto Reja, oggi 52enne, uccise con un coltellata alla gola Bruno Bressan, 35 anni. Anche allora vittima e omicida, che non si conoscevano, si erano trovati in un bar, in questo caso di piazza Sant’Andrea. Bressan, alterato dall’alcol, aveva cominciato a disturbare Reja, che era seduto tranquillamente a un tavolino del locale. Molestie che erano proseguite anche sulla piazza. A un certo Reja, infastidito, aveva estratto il coltellino che aveva in tasca e usava per lavoro: aveva menato due fendenti che avevano tranciato la giugulare di Bressan. Il giovane era morto per dissanguamento nel giro di pochi minuti accasciato sulla porta del bar. Reja con rito abbreviato venne condannato in primo grado a 14 anni e 7 mesi di reclusione, riconosciuto colpevole di omicidio volontario. In Corte d’assise d’appello l’omicidio fu derubricato da volontario in preterinzionale: condanna a 8 anni e 4 mesi.
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