L’attivista bielorussa Olga Karatch a Trieste: «Noi ostaggi dell’autocrazia»

TRIESTE È difficile descrivere Olga Karatch. Lei stessa, bielorussa, si definisce «pacifista e attivista per i diritti umani».
Ma è anche una giornalista, una dissidente politica, nonché una dei candidati al Nobel per la pace 2024. Il regime bielorusso di Aleksandr Lukashenko la accusa di essere una terrorista eppure, confessa Karatch ridendo, «abbiamo una sorta di pregiudizio reciproco, perché è un’accusa che mi sento anch’io di rivolgere a lui». Karatch è direttrice di “Nash Dom” (letteralmente “la nostra casa”), un giornale autoprodotto nato nel 2002 e ora capofila di una rete di organizzazioni per i diritti umani e civili che si oppongono a Lukashenko. Per la sua attività invisa al potere, Karatch è stata arrestata e torturata; dal marzo del 2022 vive a Vilnius, in Lituania, ma le è stato negato l’asilo politico perché considerata una «minaccia per la sicurezza nazionale».

Da qualche settimana si trova in Italia, dove ha ricevuto il premio “Alexander Langer” per la sua attività a favore della pace e della democrazia: Trieste è stata la sua penultima tappa, in un incontro che si è svolto ieri al Teatro Miela nell’ambito della rassegna “Protagoniste”. La sua storia è ricca di sfaccettature, impossibili da riassumere in poche righe. Per questo, è forse più semplice parlare di chi le si oppone, delle «lunghe mani del Kgb» che tentano, ancora oggi, di metterla a tacere.

C’è un esempio immediato, racconta Karatch, che permette di capire le condizioni attuali in cui versa la Bielorussia: «Lì la parola “presidente” può essere riferita solo a una carica, ed è facile immaginare quale sia. In questi giorni in Italia ho invece incontrato molti presidenti, molti di più di quelli che ci sono stati in Bielorussia negli ultimi cent’anni». «Non abbiamo media indipendenti, né un Parlamento o una corte di giustizia o un sindacato indipendente», continua Karatch. E le persone «sono spaventate, l’atmosfera è tossica». Proprio la popolazione è, da un lato, divisa, con membri della stessa famiglia che «spesso si denunciano a vicenda al Kgb». Dall’altro lato però «tutti odiano Lukashenko, perché dal 2020 in poi sono stati imprigionati e torturati oltre 60.000 civili». A tenere unite le due facce è allora la paura, in un regime - denuncia Karatch - che ricorda «i tempi di Stalin, con mezzi più potenti a disposizione». «Per questi motivi credo che la pace interna in Bielorussia sia ancora più difficile da raggiungere che in Ucraina».
Sulla guerra in Ucraina, invece, i bielorussi hanno pochi dubbi. «La società civile è tutta a favore di Kiev – spiega Karatch – ma non è facile sostenerla: anche soltanto essere vestiti di giallo e blu può bastare per essere arrestati». E così si arriva a uno dei temi più delicati, il rapporto fra Lukashenko e Vladimir Putin: «La Bielorussia è una sorta di appendice della Russia, ci sono magazzini di armamenti, istruttori militari, oltre alle milizie della Wagner».
A questo punto, è inevitabile che il discorso cada su Aleksej Navalny. La morte del principale oppositore di Vladimir Putin «ha molto da insegnare», secondo Karatch. «Ogni dittatura non si costruisce nell’immediato, ma passo dopo passo, con un processo graduale. Così graduale da diventare impercettibile: le persone non si accorgono delle libertà che vengono loro sottratte». Principio che vale anche per la Bielorussia: «Lukashenko non ha cominciato condannando a morte personalità di spicco bensì capi della mafia, così da guadagnarsi il favore dell’opinione pubblica. Ora il Kgb e l’esercito possono tranquillamente sparare su una folla di manifestanti». Alla domanda se teme per la sua incolumità, Karatch risponde: «So di vivere con la minaccia del regime bielorusso che cerca di mettere le mani su di me anche in Lituania, e so che non c’è nessuno davvero pronto a proteggermi».
Un’ultima, importante riflessione Karatch la dedica all’Unione europea: «Un passo imprescindibile è il riconoscimento dello status di rifugiato umanitario agli obiettori di coscienza». È così, secondo Karatch, che si potrebbe aprire uno spiraglio di pace in Ucraina: «Si tratta di un sistema di protesta non violento ed estremamente strategico. Se Putin e Lukashenko non hanno soldati, non possono continuare la guerra».
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