L’avvocato Ginaldi morto d’amianto

Si è spento nella sua abitazione, l’altra notte all’una e 22, l’avvocato Alealdo Ginaldi. Aveva 83 anni. A segnarlo senza ritorno è stato il mesotelioma, nei confronti del quale si è misurato con quella carica inesauribile, ma anche la serena consapevolezza che lo contraddistinguevano. Per Monfalcone rappresentava un’istituzione. L’essenza della voglia di vivere, la sete di conoscere e la tenacia di affrontare ogni ostacolo. Fino all’ultimo è stato circondato dagli affetti più cari, la moglie Anna Cernigoi, medico diabetologo in pensione, e le figlie Paola, che con il padre ha condiviso l’attività forense nello studio di via Fratelli Rosselli, Francesca, sempre avvocato con uno studio a Oderzo, Maria, musicista presso l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, laureata anche in Veterinaria. La loro madre, Annamaria Zilli, per anni insegnante al liceo Buonarroti di Monfalcone, era scomparsa nel 1987.
L’avvocato Ginaldi era nato il 19 dicembre 1930, sesto e ultimo figlio di Francesco e Adriana, di origini gallipoline, giunto in città verso la fine della Prima Guerra Mondiale.
Il mesotelioma alla fine purtroppo ha avuto il sopravvento. Un male implacabile che, evidentemente, lo ha legato indissolubilmente al suo passato di ragazzo alle prese con la povertà e le privazioni del dopoguerra. Un giovanotto tuttofare. Portava il pranzo in Cantiere al padre e ai fratelli. Lo faceva anche per i mariti e i figli delle sue vicine di casa, per le quali provvedeva peraltro a fare la spesa. Una famiglia di umili radici. Papà Francesco lasciò la sua professione nell’ambito del commercio all’ingrosso, nel Salentino, per approdare a Monfalcone, dove iniziò a lavorare negli allora Cantieri Riuniti dell’Adriatico (Crda), prima di dedicarsi poi definitivamente all’attività di rigattiere. Ne ha passate di tutte, Alealdo Ginaldi. Per lui, concreto, determinato e di franca onestà intellettuale, il destino aveva in serbo altre prove e altri progetti. Fu il maestro delle elementari a credere nelle sue capacità che, a quei tempi, non permettevano agli alunni di umile estrazione sociale, di proseguire gli studi. Si fece carico delle spese, accompagnando Alealdo fino alla prima classe del liceo scientifico. Il padre, peraltro con la “chiamata alle armi” dei fratelli, doveva «sbarcare il lunario» tra i Cantieri, poi il lavoro alla Solvay, e per finire l’attività di rigattiere. Alealdo “si fece da sè”, tra un lavoretto e l’altro: porta valigie alla stazione ferroviaria, distributore di manifesti e attacchino per il cinema, custode di bici, rivenditore di caramelle. Era il “lunario” per provvedere ai suoi studi. Ma anche qui il destino lo mise di fronte a dolorose esperienze: era il 30 agosto 1945 quando, per dare una mano al padre nel suo magazzino, fu travolto da un’esplosione che gli costò la vista e privò dell’avambraccio sinistro il fratello Luciano. Alealdo, nel suo libro autobiografico “Pensieri vaganti, riflessioni al buio”, parla di «appuntamento con la sorte». Sarebbe stato, in realtà, Luciano a «dover separare il ferro dall’alluminio, frutto di uno scarto di un carico di metalli». Alealdo quel giorno aveva invece il compito, assegnatogli dalla madre, di raccogliere legna: «Fui chiamato dal magazzino da Luciano, che mi chiedeva un aiuto. Il tempo per girarmi e fummo investiti dal fuoco». La cecità alla quale fu costretto non ne fiaccò la tempra. Affrontò con altrettanto vigore ed entusiasmo l’apprendimento del sistema di scrittura e lettura Braille, al Rittmeyer di Trieste. Fu una passeggiata. Alealdo sognava di diventare ingegnere aeronautico, letteralmente conquistato dai Cam Z che aveva visto volare, prodotti dal Cantiere. Ma per i ciechi la via era segnata: poteva solo diventare insegnante di lettere o seguire la giurisprudenza. Fu un’altra sfida “convertire” il suo sapere scientifico a quello classico, a Bologna. Quindi, intraprese l’università a Trieste, dove si laureò a pieni voti in giurisprudenza nel giugno 1953. Non fu mai “disoccupato”, insegnante anche all’Itc Einaudi. Non si tirò indietro neppure in politica, miliante nella Dc, consigliere comunale a Monfalcone e provinciale tra il ’60 e il ’64, nonchè consigliere regionale per 3 mandati, dal ’64 al ’78. Affrontò, inoltre, il praticantato di procuratore legale grazie all’aiuto di un amico, avvocato di Gorizia, che gli “prestò il nome” per aprire lo studio in città. In pochi, allora, avevano scommesso che Alealdo sarebbe diventato un principe del Foro.
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