Le 40 candeline della Voliga, l’osteria ai piedi di San Giusto più forte delle mode fra antipasti e zuppe di pesce
l’anniversario
Tutto scorre, nulla permane. Si fossero spinti, i seguaci di Eraclito, fino in fondo a quel “cul de sac” che è via Fornace - sotto i tacchi di San Giusto, in un punto dove i parcheggi sono merce rara e gli spazi all’aperto pure peggio - si sarebbero fatti prendere da un minimo dubbio, forse. Qui, in un angolino amato dagli autoctoni e decantato sul web dai turisti di passaggio, esiste un insolito esempio di longevità in un mondo, quello della ristorazione, dove le nascite, le morti e i cambi di attività sono all’ordine del giorno. Siamo all’Osteria di mare alla Voliga, il cui nome è dedicato, nella sua declinazione dialettale, al retino che serve per pescare. O, meglio, per acchiappare. In tutti i sensi. «Dai riboni alle farfalle», scherza Roberto Surian, al secolo Robi e basta, motore del locale che in questi giorni festeggia i suoi 40 anni, e dove i protagonisti a tavola sono gli antipasti, i fusi col ragù di frutti di mare, i “zievoli” alla piastra (buoni da far impallidire i “branzini”) e, soprattutto, la zuppa di pesce. Un piatto da sballo, che è valso pure una vittoria al celebre “Sardon day” e che riscalda l’animo tutto l’anno e il corpo soprattutto d’inverno, magari in qualche giornata di bora gelida.
La Voliga vide la luce nel settembre del 1981. La lanciarono lo stesso Robi, mamma Bruna, friulana di San Quirino, e papà Pino, istriano di Isola, cuoco di lungo corso che per lavoro si era spinto anche molto lontano, portandosi appresso la famiglia. Robi ne è la testimonianza: nel ’60 nacque in Turchia, perché a quei tempi papà Pino era lo chef della base Nato di Ankara. La Voliga ebbe un prologo di due anni in via Giulia, ma nel suo destino stava già scritta la strada a fondo cieco sotto il colle: nel 1983 ecco allora il trasloco in via Fornace, dove Surian tenne la barra fino al ’97, quando scelse di cederne per un po’ la gestione. Un anno e mezzo lontano da cucina e tavoli. Poi il ritorno, in assoluta solitudine. «Avevo deciso - racconta Robi - di specializzarmi solo in antipasti di pesce, e facevo tutto solo. Prendevo le ordinazioni, cucinavo, servivo ai tavoli, intrattenevo i clienti, lavavo i piatti. Dopo qualche mese mi uscì un “sono un po’ stanchino”, alla Forrest Gump. E cercai un aiutante».
Ed è qui che entra in scena colui che si rivelerà l’alter ego - fino a diventarne socio - di Surian: Gianni Dobrilovic, classe ’76. Sangue istriano a sua volta. Un caso? Anche no. «Era apprendista meccanico», ricorda Robi: «Non aveva la più pallida idea di come si cucinava. Gli dissi “seguimi, non mi rompere le scatole e imparerai un mestiere”». Il risultato è ciò che oggi si può vedere, e sentire, quando ci si siede in quest’osteria. “Gianni, tavolo 3, via!”. “Daghe col secondo, al tavolo 5!”. Surian nel locale è il frontman, Dobrilovic è l’uomo di macchina, quello che sta in cucina, dietro le quinte. Uno detta i tempi, l’altro tiene il ritmo. Pare di stare in un’auto da rally fra navigatore e pilota (con la differenza che qui, come sottofondo, al posto delle sfrizionate ti possono accompagnare del jazz, della musica classica, a volte i Pink Floyd, di certo non le hit del momento). Servono, insomma, rapidità e precisione. Il locale - se si fa eccezione per i periodi più bui della pandemia - «è quasi sempre esaurito, a pranzo e cena». E quando si fa tutto in due, l’intesa deve necessariamente tendere alla perfezione.
I ruspanti Robi e Gianni, evidentemente, si sono trovati. «Il nostro sodalizio - conferma Surian - funziona da oltre 20 anni. Ci assomigliamo e siamo diversi al tempo stesso. Io amo più il mare, lui più la montagna. Ma condividiamo la passione per lo sport. Io, ad esempio, vado in bici e frequento da molto tempo la palestra del mio amico Gary. Siamo un esercito di due persone. E siamo riusciti a trasformare una debolezza, cioè l’essere solo in due, in un punto di forza. L’ultimo nostro grande acquisto è Michela, la signora rumena che fa le pulizie e che ci cura come due bimbi. Siamo stati fortunati a incontrarla sulla nostra strada». «Qui si punta su professionalità, tradizione e sostanza, senza seguire le mode, che spesso si rivelano meteore, e praticando precise politiche di prezzo. Il mio motto è “prezzi giusti e pedalare”», gonfia il petto Robi, sfoggiando un bagaglio di aforismi degni del mago Herrera (ma non diteglielo, considerata la sua fede milanista), e additando alle pareti i riquadri che custodiscono sotto vetro alcuni degli articoli che, nel tempo, hanno raccontato la Voliga nel mondo: Repubblica, Figaro, New York Times. Ultimamente Vanity Fair ha inserito l’osteria di via Fornace tra i 10 posti che meglio rappresentano lo spirito turistico-culinario di Trieste. Il vanto è questo. Non gli aneddoti. Non i vip passati per di qua. Piuttosto «il fatto di resistere da 40 anni in un punto senza parcheggi né spazi all’aperto. Per noi sono tutti vip, tutti clienti speciali, quando si siedono a questi tavoli».—
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