Le armi per la camorra venivano dal Montenegro

di Corrado Barbacini
L’attentato che i finanzieri del Gico di Trieste hanno sventato sarebbe stato di proporzioni colossali. Con quattro chili di plastico si distrugge un rione grande come Barcola o San Giovanni.
L’esplosivo di provenienza ucraina, assieme una cinquantina tra mitragliette e pistole e oltre 300 proiettili, era stato trovato due settimane fa, come il Piccolo aveva rivelato in anteprima. Stava in alcuni borsoni nascosti dentro un furgone sloveno pieno di materiale elettrico che era stato intercettato a Palmanova dopo essere stato seguito e monitorato con i localizzatori satellitari fin dal passaggio attraverso il confine di Fernetti. Al volante del mezzo c’era un cittadino sloveno del quale non è stata rivelata l’identità, anche perché fin dal momento dell’arresto avrebbe assunto un atteggiamento che gli stessi finanzieri hanno definito collaborativo. Nulla si sa invece della staffetta che avrebbe preceduto, come sempre avviene in questi casi, il carico importante. Le armi, secondo i primi accertamenti delle indagini coordinate dal pm del Tribunale di Trieste Lucia Baldovin, provenivano da un deposito che gli investigatori avrebbero localizzato nei giorni scorsi in Montenegro. Probabilmente si tratta in parte del contenuto dell’armeria di una caserma abbandonata dopo la guerra del Balcani e poi presa “in gestione” da un gruppo della malavita del posto legato alla camorra.
Il riferimento è verso Darko Saric, il boss della mafia serba nato in Montenegro, che alla caduta di Milosevic ha saputo unire i clan allo sbando della malavita balcanica ponendoli sotto la sua guida. Quei clan allo sbando erano la bassa manovalanza di Milosevic, che anche dalle file della malavita traeva organico per le sue truppe paramilitari.
Le armi, come detto, erano dirette - così risulterebbe dalle indagini dei finanzieri del Gico - in Campania. Dovevano essere prese in carico da un’organizzazione criminale legata direttamente alla camorra che non ha mai fatto mistero degli affari con il Montenegro. È anche emerso che al carico di armi i finanzieri del Gico erano arrivati seguendo le tracce di un traffico internazionale di droga. Una pista parallela. Che si è sviluppata sul confine di Trieste e che dimostra quanto sia importante l’attività di controllo di quelle aree.
L'operazione “Maximum risk” sarebbe indirettamente legata anche alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Di Fiore. Ha raccontato a Napoli, al pm Francesco Valentini, che le cosche di Acerra stavano organizzando un attentato al pm della Dda Vincenzo D'Onofrio, “reo” ai loro occhi di eccessiva durezza verso gli affiliati al clan. Le abitudini del magistrato erano state studiate a fondo: i camorristi avevano saputo che D'Onofrio si sposta su una Bmw blindata di colore grigio e che vive in una città dell'hinterland napoletano. Erano noti ai malviventi anche gli spostamenti e gli usuali orari del magistrato.
«Molti aspetti restano da inquadrare nella loro complessità», ha detto ieri Pierluigi Mancuso, comandante provinciale della Finanza. Nelle scorse settimane sull’operazione “Maximum risk” aveva mantenuto assoluto riserbo. Solo ieri al comando di via Giulia ha mostrato alla stampa l’arsenale. Ma su collegamenti e riscontri investigativi ha prudenzialmente glissato.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo