Le creatrici: «Il clamore nasce da equivoci»

«Parlare di genere significa parlare di femmine e maschi e della parità di diritti tra loro». Benedetta Gargiulo è membro di Laby, l’associazione che ha creato il “Gioco del rispetto”, e spiega che il clamore suscitato dal progetto deriva in gran parte da confusione sul suo contenuto.
In Italia si fa un uso tendenzioso del termine inglese “gender”. Cosa intendete quando lo usate?
Forse siamo rimasti un po’ indietro sulla terminologia, perché l’usiamo in senso classico. I generi sono maschile e femminile: questo è il significato che gli diamo e il modo in cui lo usiamo. Se poi adoperiamo termini come «approccio gender transformative», non lo facciamo perché ci piace l’inglese ma perché lo ereditiamo dalla letteratura scientifica estera. L’equivoco nasce quando lo si traduce in modo maccheronico e si pensa che parliamo di cambio di sesso.
Cosa significa?
È un approccio volto a cambiare le dinamiche fra generi dall’inequità all’equità in tutti gli ambiti: nei rapporti di potere fra uomini e donne, nell’uso del linguaggio. Ora ci troviamo un po’ in difficoltà perché basta dire “gender” per camminare sulle uova. Ne prendiamo atto, ma non ci vengono in mente altre parole.
Il travestimento. I bambini lo fanno da sempre. Serve codificarlo in un progetto?
È solo una delle undici proposte del progetto, ma non è un manuale di dress code. In questo gioco provano a indossare gli abiti tipici di un ruolo che normalmente è attribuito all’altro genere, come la strega, il pompiere, il pilota di aereo. Serve ad ampliare gli orizzonti, a far capire alle bambine che possono anche immaginarsi astronaute, magistrate e così via. Comunque nessuno è costretto a farlo: se a un bambino non va, non lo fa.
Le interviste ai bambini?
Nessuno viene filmato, si registra solo l’audio. Prima del progetto, in modo da vedere il punto di partenza degli stereotipi. Di solito i bambini riflettono le dinamiche famigliari.
Il progetto non nasce oggi. Mai avuto problemi?
L’anno scorso non c’è stata alcuna protesta. Quest’anno è partito tutto in particolare da un genitore. Al contrario gli altri, che volevano farlo, protestano per il blocco subito dal progetto.
Quante scuole hanno aderito?
Più di settanta insegnanti in tutte le scuole del comune: e pensare che all’inizio ce ne aspettavamo una ventina, abbiamo dovuto estendere la formazione.
L’educazione sessuale c’entra?
Assolutamente no. Non so come abbiano potuto pensarlo. Personalmente sosterrei anche progetti di educazione sessuale e contro la discriminazione dell’omosessualità, ma non è questo il caso. Il progetto parte da altre premesse, il modello di famiglia proposto è quello con mamma e papà. Niente di sovversivo.
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