Le scelte degli anni ’60 sono l’ultimo affronto

Con il piano Piccinato e l’industrializzazione di Piedimonte viene messa la pietra tombale al recupero urbano del corso d’acqua. I tentativi non riusciti di Fabiani
Sono molte le città che vivono ai bordi di un fiume che le attraversa e, vicino a noi, Lubiana ne è un bell’esempio. È attraversata dal fiume Ljubljanica che scorre molto più in basso rispetto la città, contenuto da alti argini in cemento armato ricavati mediante l’abbassamento del pelo d’acqua ottenuto con la parziale deviazione delle sue acque, per risolvere il problema delle frequenti inondazioni. All’abbellimento dei suoi argini venne chiamato l’architetto Jože Plečnik il quale, mediante una serie di progetti magistrali, provvide negli anni Trenta a realizzarvi ponti, piazzette, belvederi e luoghi d’incontro, determinando una città bella e vitale.


A Gorizia la situazione è diversa, il fiume infatti c’è, ma la sua presenza non è percepita. Gorizia nasce e si sviluppa infatti tra il colle del Castello e il torrente Corno che per lungo tempo ne segnò il confine e l’Isonzo era ancora lontano dall’abitato quando sulle sue rive, nella zona di Straccis, nascono le prime manifatture che dall’acqua traevano l’energia motrice. Cartiere, segherie, mulini e opifici che vennero poi sviluppati dai Ritter nella seconda metà dell’Ottocento, trasformandosi in un vero e proprio polo industriale ampliato anche dall’altra parte del fiume a Piedimonte (Podgora) con il collegamento di un ponte in ferro. Uno sforzo per recuperare l’Isonzo alla città si ebbe con i piani regolatori di Riccardo Del Neri (1920) ingegnere comunale e di Max Fabiani (1921): in ambedue vi era la previsione di un allargamento dell’abitato a ovest, dal Corso verso il fiume, a sud delle industrie cedute nel frattempo alla famiglia Brunner agli inizi del Novecento. Oltre una promenade alberata lungo il fiume, i due piani prevedevano un nuovo ponte nei pressi dell’incrocio tra via Montecucco e il lungo Isonzo, a collegare i nuovi quartieri goriziani con Piedimonte, allora comune indipendente, nella previsione che, prima o poi, la città avrebbe preso il posto delle fabbriche dei Ritter. Lungo tutto il tracciato sull’Isonzo la nuova strada panoramica avrebbe collegato i ponti cittadini e un belvedere di grande effetto sarebbe sorto sulla via Cordaioli, nella zona prospiciente alla cascatella creata dalla traversa del “quadrato”.


L’ipotesi di ampliamento al fiume rimase a lungo disattesa, per essere poi ribadita da Fabiani nel piano del 1950 ma, come molte idee dell’architetto, per motivi economici o per disinteresse politico, nulla venne realizzato e nel secondo dopoguerra, grazie anche alle leggi di sostegno all’economia che prevedevano un particolare regime di zona franca per la zona industriale di Piedimonte dove si era insediato il maxi cotonificio triestino dei Brunner, gli insediamenti produttivi vengono ancora ampliati quando le industrie passano in mano al gruppo finanziario Tognella.


Nel 1966, il piano urbanistico di Luigi Piccinato diventa la pietra tombale per il recupero dell’uso urbano del fiume: a Piedimonte la zona pianeggiante tra i due ponti viene completamente destinata a industrie, così come la parte di Straccis più vicina all’Isonzo. Nel 1979 il piano dell’ingegnere triestino Roberto Costa ribadisce ancora la reclusione del fiume tra le mura delle fabbriche, una reclusione che poi prosegue poi anche con il piano Gregotti-Cagnardi del 2001, ancora in vigore oggi.


La zona franca, che ha prolungato la sua esistenza anche dopo il 1982 quando il Cotonificio Triestino venne chiuso definitivamente, invece del recupero civile del polo industriale, ne determinò lo spezzettamento in una miriade di nuove piccole industrie con nuovi capannoni sorti sulle ceneri del cotonificio, industrie quasi tutte fallite attorno il 1993, malgrado l’enorme mole di investimenti pubblici.


Ormai il lungo fiume di Piedimonte era ormai cementificato, togliendo quasi del tutto la vista dell’Isonzo ai suoi abitanti, mentre sulla sponda opposta, lo stabilimento della Safog ha visto nel corso degli anni, continui ampliamenti e moltiplicazioni e a sud la nascita di nuovi capannoni destinati ad attività produttive e commerciali.


La vista dell’acqua alla città, che con certo sforzo da parte dell’amministrazione comunale ancora poteva essere recuperata nel 1982, è ormai preclusa dal frazionamento dei terreni dell’ex Cotonificio in una miriade di piccole proprietà, che impedirà per sempre un riuso del suolo a scopo abitativo. Bisognava agire allora, difficilmente Gorizia potrà recuperare la vista del proprio fiume.




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