LE VITE TRADITE
Oggi alle 13, salvo imprevisti, esploderà una notizia-bomba: la sentenza sulla causa tra la Ferrari e la McLaren-Mercedes. Per quel che si sa fino a questo momento, non sembra esserci scappatoia. O la McLaren-Mercedes viene ritenuta colpevole di spionaggio, furto di segreti industriali, frode sportiva, e allora verrà punita nella squadra e nei piloti; o la Federazione giudicante ritiene di dover esaminare anche le prove portate dalla McLaren contro la Ferrari e la Renault, e in tal caso rinvierebbe il processo e le eventuali condanne.
Nel primo caso morirebbe la McLaren-Mercedes, nell'altro caso morirebbe la Formula 1. Altre ipotesi non sembrano possibili. E dunque, se la McLaren viene squalificata, si scioglie e al suo posto subentra un'altra squadra, che si chiamerebbe semplicemente Mercedes e sarebbe tutta tedesca. E' l'ipotesi prevalente. Un terremoto, per la Formula 1. E un dramma per i due piloti che in questo momento, nel campionato mondiale, sono al primo e al secondo posto. Correre in Formula 1 significa rischiare la vita. Ogni corsa è un patto col diavolo. Spesso la differenza tra un posto e il posto successivo la fa chi rischia di più la vita. Ci sono piloti che corrono senza paura perché hanno visto in faccia la morte più volte, ci han fatto l'abitudine. Non sono vivi, sono redivivi.
Hamilton marcia verso il titolo mondiale, ma in una gara recentissima ha sbattuto a 284 all'ora, l'auto s'è insaccata nella muraglia di destra, e il pilota, inquadrato dalla telecamera alle sue spalle, agitava freneticamente le gambe come un ragno schiacciato, quando i nervi non obbediscono più al cervello. Spesso il pilota che ha incontrato la morte e l'ha sconfitta riprende a correre più veloce di prima. Coulthard cadde con l'elicottero, si salvò, e per tre-quattro gare fu incontenibile. Lauda ebbe l'estrema unzione nell'abitacolo, sapeva di non morire e voleva dirlo ma non riusciva a parlare.
Evidentemente, cosa che io e voi ancora non sappiamo e non abbiamo nessuna fretta di sapere, anche morire è una questione di allenamento. Però è difficile, e francamente ingiusto, se si condanna la casa costruttrice anglo-tedesca perché ha costruito le sue macchine rubando i segreti della grande rivale italiana, poi non punire anche i piloti: correndo su macchine illegali, hanno ottenuto un punteggio illegale. Se togli tutti i punti alla McLaren-Mercedes nella classifica Costruttori, dovrai togliere parecchi punti anche ad Hamilton e ad Alonso. Forse in misura differenziata: Alonso ha collaborato molto, Hamilton niente. Invitati dalla Federazione a fornire la documentazione in proprio possesso sul materiale rubato con le spiate, Alonso ha fornito prove schiaccianti, Hamilton non ha fiatato. Così raccontano i giornali tedeschi e inglesi.
Chi è dunque Alonso? E' uno che tradisce perché si sente tradito, è il campione in carica e teme di perdere il titolo perché la casa non lo aiuta: era un dio, sta diventando nessuno. Nel mondo non c'è gloria se non per i primi. E chi è Hamilton? E' l'astro nascente, primo anno che corre ed è già in testa alla classifica: è nessuno, diventerà un dio. Se le accuse sono fondate, si capisce come la casa anglo-tedesca sia in testa: perché sa tutto ciò che essa inventa o scopre, più tutto ciò che inventa o scopre la Ferrari. Un'invenzione della Ferrari, creata in Italia alle 10 del mattino, alle 12 viene studiata in Inghilterra, trasmessa via e-mail da una spia.
Una delle spiate più velenose riguarda il sistema di frenata. E così, un pilota Ferrari corre fino al proprio limite, rischia la pelle ad ogni chicane, e poi perde perché qualcuno, al di sopra di lui, l'ha tradito. Chi tradisce qui è come un tenente che, in trincea, passa al nemico la parola d'ordine. Ci vuole giustizia, e la giusta sentenza è una sola. Oggi, alle 13, sapremo se quella sentenza è arrivata.
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