L'Europa in stallo

Per capire, sotto il profilo istituzionale, quale è la condizione dell’Unione europea (Ue) dopo l’esito negativo del referendum irlandese sul trattato di Lisbona, bisogna ritornare indietro almeno di sei, se non di otto anni.Attualmente, in attesa di soluzioni alternative, siamo di nuovo fermi al Trattato di Nizza che era stato approvato alla fine del 2000, bocciato nel 2001 dall’Irlanda, ma poi approvato nel 2002 dallo stesso Paese, dopo alcune assicurazioni supplementari da parte dell’Ue.


Questo trattato, però, si era rivelato subito inadeguato a gestire l’ulteriore allargamento ormai programmato a Est dall’Ue, soprattutto per le minoranze di blocco previste nel processo decisionale. Si era allora dato vita a una Convenzione che aveva formulato una “Costituzione Europea” firmata nell’ottobre del 2004 quando ben 10 nuovi membri erano già entrati nell’Ue. Ma tra maggio e giugno del 2005, Francia e Olanda bocciavano la “Costituzione” attraverso un referendum.


Seguiva una “pausa di riflessione” che sfociava nella formulazione di un nuovo trattato. Benché esso si ispiri alla “Costituzione”, dopo il ridimensionamento e le deroghe richieste da più Stati, appare modesto e poco efficace sia rispetto a un rilancio dell’integrazione europea che, probabilmente, a gestire una prossima Ue allargata da 27 a 33 e più partecipanti. Il documento, firmato a Lisbona da tutti gli Stati membri nel dicembre del 2007, richiede, per entrare in vigore, l’unanimità. 18 Paesi l’hanno già ratificato; l’Irlanda l’ha bocciato; ma anche tra gli altri otto paesi che dovrebbero ratificarlo potrebbe esserci qualche dissenziente.


Intanto, in questo periodo di incertezza istituzionale interna, sono mutati sostanzialmente sia il quadro internazionale che quello europeo. L’Europa si è profondamente divisa sulla guerra in Irak. La globalizzazione dei mercati, attraverso la liberalizzazione degli scambi, la delocalizzazione delle imprese, il crescente fenomeno dell’immigrazione, ha esercitato una crescente pressione su un’Europa impreparata a sostenerla.


L’emergere di potenze regionali come la Cina e l’India e il riemergere della Russia quale importante attore europeo, in un periodo di difficoltà degli Stati Uniti d’America, hanno ulteriormente evidenziato la debolezza e la vulnerabilità dell’Europa. Le reazioni della popolazione, nel vecchio continente, sono state di preoccupazione e di crescente incertezza sul piano economico, sociale, del lavoro, della sicurezza.


Quelle degli Stati nazionali europei sono sembrate, invece, in una prima fase, improntate alla convinzione di poter svolgere un nuovo ruolo di garanzia e di tutela a fronte di questi processi. Ne è conseguita la ricerca di un loro più accentuato ruolo individuale sia all’interno dell’Ue che a livello internazionale. In realtà, la struttura e la dimensione degli stati europei si è presto palesata inadeguata a reagire e a controllare situazioni esterne (dai fenomeni economici e finanziari, a quelli delle comunicazioni, dell’immigrazione ecc.), mentre anche al loro interno la reazione alla globalizzazione ha fatto crescere ulteriormente e/o riemergere fenomeni di identificazione locale e regionale con domande di una più accentuata autonomia.


Di fronte a questi crescenti e incerti mutamenti L’Ue, nonostante i tentativi sopra accennati, è rimasta passiva. Sul piano interno essa sta realizzando gradualmente gli obiettivi che si era data negli anni ’90 (moneta unica; allargamento; Schengen). Sul piano esterno, limitata dall’effimero protagonismo degli Stati e dal suo ormai pesante burocratismo, non ha dimostrato capacità di reazione.


Shock internazionali quali: l’aumento continuo del prezzo degli idrocarburi, la crisi energetica e soprattutto il problema della sicurezza delle forniture energetiche; la crisi dei mercati finanziari e i suoi effetti sulla crescita economica; l’incremento dei prezzi delle materie prime alimentari, che hanno interessato in modo pesante l’Europa nell’ultimo biennio, al di là di reiterate constatazioni e dichiarazioni non si sono concretizzati in risposte e azioni comuni. Anche il fenomeno dell’immigrazione, che soprattutto dopo Schengen non può che essere affrontato su un piano europeo, comincia solo ora ad avere prime parziali risposte.


Ci si può quindi chiedere perché un’Europa che non dimostra di poter risolvere alcuni problemi più sentiti da vasti strati di popolazione e la cui soluzione si pone ormai quantomeno a livello europeo (da quello energetico, ai prezzi agricoli, all’immigrazione, alla sicurezza) dovrebbe interessare le popolazioni, preoccupate, a volte, invece, da provvedimenti burocratici astrusi o da proposte non condivise provenienti da Bruxelles.


L’interrogativo diviene ancora più complesso quando si constata che la popolazione apprezza sicuramente alcuni benefici portati dall’Europa, a cominciare dalla libera circolazione, però li dà per scontati, mentre, nei sondaggi, continua a esprimersi a favore di una politica estera, di sicurezza e di difesa europee, cioè, implicitamente, di un soggetto politico europeo, senza però trovare alcuna risposta. Allora, forse, il problema è a monte e riguarda gli Stati che sono i soggetti operativi dell’Ue, e la loro resistenza, come dimostrano gli ultimi anni, a fare passi decisivi per attuare politiche comuni che rispondano alle esigenze delle popolazioni.


Ma si tratta di passi difficili perché bisognerebbe avere il coraggio di attribuire quote di sovranità a un progetto comune e avere la coerenza di portarlo avanti con quelli che lo condividono, in attesa degli altri. Per il momento è certo solo che il Trattato di Lisbona non entrerà in vigore il I° gennaio 2009 e che per risolvere il problema ci vorrà almeno un anno.


Nella riunione del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo di oggi e domani dopo lunghe discussioni, probabilmente si invierà, all’unanimità, un messaggio all’Irlanda in cui si chiarirà che alcuna costrizione verrà esercitata dall’Ue, su neutralità, politica agricola, aborto ecc.. Il processo di ratifica verrà così probabilmente ripreso. Le elezioni del Parlamento Europeo avverranno in mancanza di un trattato, ma saranno almeno l’occasione di affrontare in termini più diretti la questione europea. I problemi intanto continueranno a rimanere aperti.

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