L’ex comandante della Finanza condannato in Appello per frode

Tre anni e due mesi di reclusione per l’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Trieste, Pierluigi Mancuso. L’ufficiale è stato condannato dalla Corte militare d’appello di Roma per il reato di «collusione con estranei per frodare la finanza». Mancuso, che nell’ottobre dell’anno scorso era stato assolto in primo grado, ora perde il grado di generale di brigata.
Il reato contestato dalla magistratura non investe le mansioni a servizio delle Fiamme gialle, bensì la partecipazione societaria a due imprese di famiglia, la Pepe srl e la Eredi di P. Mancuso srl. All’epoca a cui si riferiscono i fatti l’ufficiale era alla guida del comando provinciale di Trieste.
Gli inquirenti hanno riscontrato alcune incongruenze nella contabilità delle srl, amministrate dalla madre Elettra Bonfanti. Dai successivi accertamenti è emerso che l’ufficiale si sarebbe «adoperato per anni» per abbattere l’imponibile dei redditi delle due società, operanti a Roma.
Stando all’ipotesi accusatoria, sposata dalla Corte di appello, «Mancuso – scrive l’agenzia Agi – faceva uso privato di strutture e beni societari, in primis l’autovettura dichiarata come aziendale, sempre a sua disposizione nella città di Trieste in cui, per tutti quegli anni, aveva fissato la sede dei propri interessi familiari».
Il generale avrebbe prelevato di continuo denaro dalle casse societarie per finalità «inequivocabilmente private»: acquisti in negozi di arredamento, per il parcheggio dell’auto a Trieste, ma anche compere da rivenditori di giocattoli e articoli per l’infanzia, oltre a pranzi, cene e soggiorni nelle stazioni sciistiche e località di villeggiatura, compresa la vicina Slovenia.
Gli inquirenti, che hanno passato al setaccio la contabilità delle due srl, si sono accorti che le spese erano confluite tra i costi societari. Voci che quindi generavano l’abbattimento della base imponibile ai fini delle imposte dirette, traducendosi in un vantaggio economico «non dovuto, di valore pari alla mancata imposta versata all’erario».
Dagli accertamenti citati dall’accusa risultano, inoltre, «ripianamenti fittizi, contabilizzati come movimentazioni finanziarie in entrata ma che non transitavano nel conto economico». Nelle contabilità «sono stati rilevati titoli di viaggio intestati all’imputato che da controlli incrociati, risultava in missione per conto della Guardia di Finanza».
«Le sentenze non si commentano ma si rispettano – spiega Mancuso – in questo momento, comunque, non si conoscono ancora le motivazioni. Appena saranno disponibili, valuterò il ricorso in Cassazione. Faccio solo notare che, ad oggi, nessuna delle presunte evasioni di imposta che sono alla base dell’accusa è stata riconosciuta come tale dagli uffici finanziari dell’Agenzia delle entrate. Anzi, tutta una serie di ipotizzate evasioni è stata valutata come non sussistente dalla stessa Agenzia delle entrate». —
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