Lezione di storia, piena la platea

Una platea del teatro Verdi non piena ma quasi per assistere alla conferenza di Mario Isnenghi: circa 400 spettatori, quindi. E verrebbe in un primo tempo da sorprendersi di un numero così importante per l'incontro con uno storico per quanto illustre. A un esame più attento, da sorprendersi c'è ben poco: si tratta "semplicemente" della voglia di cultura, di certa cultura, che anima Gorizia. La conferenza di ieri segue quella di qualche tempo fa ospitata dalla Fondazione Carigo, tenuta da un altro storico noto: Alessandro Barbero. Come quella di Barbero è stata organizzata da Fondazione Carigo, Comune di Gorizia, Amici di Isonzo Soca, Transmedia. E come quella di Barbero ha raccolto un pubblico partecipe e curioso. Quanto alla location, il teatro Verdi è sembrato metter tutti d'accordo.
Dario Stasi, direttore di Isonzo Soca, ha introdotto l'appuntamento, chiamato sul palco il sindaco Ettore Romoli, e il presidente della Fondazione Carigo, Gianluigi Chiozza. Quindi, ha illustrato alcune immagini di Gorizia nel corso della Grande Guerra e ricordato il progetto di Isonzo Soca sulla storia del '900 del nostro territorio. Poi, è toccato a Isnenghi e alla sua conferenza dal titolo "Miti di ieri e miti di oggi "Da Trento a Trieste" all'"Inutile strage"". «Non immaginavo che ci potessero essere così tanti spettatori in un pomeriggio di domenica», ha esordito lo storico, prendendo le mosse da quanto il pubblico del teatro Verdi potesse essere composito, e, quindi, "portatore di memorie differenti". Si è, allora, rifatto proprio a un simbolo dell'italianità quale Giuseppe Verdi e a un altro "nostro" simbolo: Dante. Ma non è stato che l'inizio di un percorso che, senza mai assumere toni accademici, e, quindi, restando comprensibile a tutti o quasi, ci ha portato a conoscere o meglio approfondire i miti a cui il titolo della conferenza faceva riferimento. "Miti autentici" ha affermato Isnenghi in quanto vissuti come tali; «La Liberazione di Trento e Trieste, ad esempio, all'epoca era vista come la quarta guerra d'Indipendenza». E il tutto, naturalmente, è stato contestualizzato, raccontato con rare capacità di divulgazione nonchè tirando in ballo figure mitiche a loro volta quali, a esempio, Salandra, Sonnino, Giolitti, Crispi, Mazzini («che credeva in una libera dialettica tra nazioni europee»). E, tra i tanti chiamati in causa dallo storico, Gabriele D'Annunzio e il suo ambiguo slogan della "vittoria mutilata". È giunto persino, Isnenghi, a suggerirci, sommessamente, con garbo ma con molta passione, la lettura del "Diario degli anni bui" del goriziano (di padre italiano e madre austro-ungarica) Enrico Rocca, "un diario scritto dal 1940 e seguenti che diventa un diario della prima guerra mondiale". E, mentre parlava, non è volata una mosca. Al punto che dopo un'ora o giù di lì ha chiesto a Dario Stasi, con il quale ha condiviso il palco, quanto tempo potesse ancora parlare e, rivolgendosi al pubblico, "Non vedendo le vostre facce, non posso capire la vostra attenzione..." ha affermato. Un applauso è giunto dalla platea a fugare ogni dubbio e gli ha permesso di riprendere le fila del discorso e di condurlo alla fine.
Alex Pessotto
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