Lina Sotis racconta il bon ton al tempo della crisi

Il bon ton ai tempi della crisi ha due parole d’ordine: sorridiamo di come eravamo e felicitiamoci di come possiamo diventare. Lina Sotis, giornalista e scrittrice, sacerdotessa delle buone maniere, trent’anni dopo il suo primo manuale di “bon ton”, torna in libreria con “Libretto di risparmio. Ricominciamo da zero” (Rizzoli, pagg. 173, euro 10,00), un’edizione riveduta, corretta e aggiornata, del saper vivere in un’epoca in cui bisogna inventarsi un altro modo di vivere.
La crisi ci è utile, sostiene Lina: perchè ci obbliga a tagliare gli orpelli - cose ma anche persone - a smetterla con l’ostentazione, a rivedere il vocabolario, a valorizzare il “saper fare” (“sposare un idraulico è meglio che sposare un manager...”), a riciclare con eleganza e a condividere con gli altri la prima e unica ricchezza inesauribile: noi stessi. Ecco qualche suggerimento per salvare, se non i soldi, almeno la grazia.
Facile dire: ricominciamo da zero. Come si fa?
«Solo in questo momento e solo con la crisi può venire in mente di ricominciare da zero. Perchè solo adesso siamo veramente a zero. È il momento più semplice per cambiare. Nessuno lo fa completamente, però oggi è più facile dirigere i propri interessi e le proprie predisposizioni verso un diverso stile di vita. Usciamo da quello dell’eccesso ed è ora di entrare in quello dell’accesso. Ne parlo nel primo capitolo del libro proprio perchè sono esattamente l’uno il contrario dell’altro. Ricominciamo da zero “accedendo” al nuovo mondo, che è molto, ma molto migliore di quello che abbandoniamo. Ce ne innamoreremo presto»
Neo-etica ai tempi dello spread?
«Possiamo definirla come vogliamo. Diciamo che entriamo in un’epoca diversa con uno stile sicuramente più etico. Ci sono molti meno soldi, è chiaro che non possiamo replicare i noi stessi del passato. Fare tanti regali, riempirci gli armadi di inutilità: tutto questo ci renderebbe stridenti».
Cominciamo col liberarci, per esempio, degli amici che non sono tali, che abbiamo baciato molto e conosciuto poco...
«Questo è il momento della vita. Ho 68 anni e comincio a capire che molte conoscenze sono una zavorra. I veri amici sono pochi, quelli che ti sono vicini nei momenti della gioia, della salute, del dolore. Quando uno diventa più grande e meno denaroso, stringe.
Lei l’ha fatto?
«Abbastanza. Ho eliminato tutti i superflui. Una cena per otto crea amici, un incontro per quattrocento crea conoscenze. È il momento degli amici. Do meno baci e quelli che do sono una scelta».
È tornato di moda il verbo “barattare”, che una volta era come dire sono “povero”...
«Invece adesso è come dire sono “consapevole”. Il baratto è visto con allegria. Una cosa è superflua per me può essere fondamentale per te, e viceversa. E vale anche per la vecchia permuta: io sono un avvocato e ti do un consiglio legale, tu sei un panettiere e mi dai il pane. Da piccola credo di non aver mai avuto un vestito nuovo: eravamo tre sorelle e quello che metteva la prima, Donatella, passava a Linetta e a Viviana. Eppure la mia era una solidissima famiglia borghese. Io ero comunque molto contenta, ogni cosa mi sembrava nuova, che stesse bene solo a ame».
Ma le donne riescono a dire: “mi presti un vestito?”
«Il difficie è proprio dirlo, ma bisogna trovare il coraggio e imparare a farlo. Se fai una domanda simile, significa che hai deciso di fidarti di una certa persona e che quella persona è una tua amica. Non è una domanda che puoi rivolgere a tutte: con un vestito fai anche una scelta di amicizia».
Politici o banchieri: chi è più antipatico?
«Non ce l’ho con i banchieri, ma il loro è il grande abbandono della nostra epoca. Hanno superato in impopolarità perfino i politici. Fino agli Novanta avevano il volto rassicurante di uno zio, buono, che proponeva al suo protetto i “titoli cassetto”. Adesso non hanno protetti ma “clienti” e, con una faccia da squalo, propongono “opzioni sintetiche”».
Anche in tema di bellezza è finita un’epoca, quella dei taroccati...
«Una donna rifatta è patetica. Un uomo rifatto è ridicolo. Ambedue allontanano. Gli uomini con i capelli bianchi, naturali, con l’esperienza non ritoccata, ovvero con le loro belle rughe, sono quelli che piacciono di più. Quelli che fanno dire “almeno di lui mi posso fidare”».
Ma il muro del lifting pare faccia più fatica a crollare di quello di Berlino.
«Se cominceranno a girare facce con i segni del tempo, allora capiremo che è davvero crollato. È finita l’epoca delle donne tutte tirate, tutte uguali. Dopo i cinquanta ognuno ha la faccia che si merita. Essere vecchi significa averne tutti gli accessori».
Appunto: lei dice che l’unica abbondanza degli accessori femminili oggi sta nelle rughe. Ma ci crede veramente?
«Certo. Di me stessa, una volta pensavo: ho una bella bocca. Adesso: ho belle rughette».
Passiamo al vocabolario: anche qui c’è una sparizione eccellente. La patonza...
«È come parlare di un “figo”, significa dichiare di essere rimasto indietro, agli anni Novanta. La parola patonza ha segnato vent’anni della nostra vita. Con lei se ne va un modo di vedere la donna e non solo. Perchè l’olgettina ha anche un olgettino».
Ma non pensa che la patonza tornerà in auge ora che il suo principale estimatore è ricomparso?
«Parliamo della parola. Non facciamo inutili moralismi. Tutti speriamo che rimanga sempre di moda, che continui ad avere estimatori e molti. Ci mancherebbe altro, è il centro dell’essere. Quella che sparisce è la patonza strumentalizzata».
Qual è il termine che secondo lei riassume questo cambiamento nei modi?
«La parola più bella è solidarietà, in particolare quella “automatica” delle antiche tribù e dei villaggi, quando non esisteva la parola “grazie” ed era naturale che ciascuno aiutasse il proprio vicino, che la donna allattasse il figlio di un’altra mentre questa era occupata nei campi. Si era capito che c’era bisogno della collettività per sopravvivere. Anche ora il concetto di “noi” sta cominciando a prendere il posto dell’”io”».
Il suo primo “bon ton” uscì nell’83. In trent’anni cos’è cambiato nel modo di comportarsi?
«Allora spuntavano i nuovi ricchi che avevano bisogno di imparare una serie di regole di società, un certo garbo del vivere. Adesso tutto è capovolto: non ci sono più i nuovi ricchi, siamo vecchi poveri. Non c’è più la società, ma attraversiamo un periodo di crisi in cui dobbiamo impare a convivere il meno male possibile, aiutandoci il più possibile».
La sparizione più eclatante?
«Quella degli inutili orpelli, dell’ostentazione, dell’esibizione, dell’esserci a tutti i costi, del fare le cose da soli».
Ha nostalgia di qualcosa?
«Io vivo molto meglio adesso, da ragazza grande. Avere 68 anni è più semplice che averne 38. Tutto quello che potevi fare l’hai fatto e puoi godere della vita con una cognizione del tempo più lenta e occuparti dei tuoi affetti».
@boria_a
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