L’INTERVISTAnGIORGETTO GIUGIARO

di Margherita Scursatone
Il car designer del secolo, Giorgetto Giugiaro, è un’icona universale: ha disegnato oltre 200 modelli e circolano quasi 60 milioni di vetture con la sua firma. Dopo gli esordi in Fiat, la crescita alla Bertone e alla Ghia, nel 1968 ha fondato l’Italdesign, dal 2015 di proprietà del gruppo Volkswagen. Cosa è rimasto a Giorgetto? La Giugiaro Architettura, curata dal figlio Fabrizio, e una nuova società nata quest’anno che si occupa di progetti automobilistici.
Il mondo dell’auto è in grande rivoluzione: quale miglior momento per un designer?
«Quella dell’elettrico o dell’ibrido apre una nuova era. E per un paese come la Cina rappresenta l’opportunità di non dover più dipendere dal progetto occidentale. Con l’elettrico si riuscirà a fare questo salto di creatività».
Quale sarà il linguaggio formale dell’elettrica?
«Non esiste un linguaggio solo elettrico e un prodotto prima di tutto si deve vendere. L’uomo è condizionato dalle abitudini, l’occhio ha bisogno di tempo per accettare il cambiamento, e solo a piccoli passi si può arrivare a qualcosa di diverso».
Tesla: vetture a batteria ma design tradizionale. Perché?
«La Tesla non ha sviluppato un linguaggio puramente elettrico perché doveva vendere. Se oltre che elettrica fosse stata completamente diversa come estetica avrebbe fatto più fatica».
Tentativi più coraggiosi con le Bmw serie i.
«La i3 la trovo scomoda, ma la i8 è un bel passo avanti. Un coupé piace di più perché ha una accettazione estetica più immediata, e abbinandolo al motore elettrico si esprime la sintesi perfetta dell’innovazione».
Con la I-Pace, Jaguar propone una vettura con poco sbalzo anteriore e un passo lunghissimo.
«Sarà il trend del futuro. Cambiano le proporzioni e lo spazio interno aumenta esponenzialmente. La Cina, che punta sull’elettrico per la necessità di ridurre l’inquinamento, sarà protagonista di questa rivoluzione estetica».
Il design può ancora essere una motivazione d’acquisto per l’auto che guida da sola?
«Ci saranno due tipologie di auto autonoma. Quella di proprietà, che dovrà essere attraente, comoda e performante perché possedere un oggetto esclusivo soddisfa un piacere. Quella condivisa per la mobilità individuale, un taxi autonomo che viaggia in assoluta sicurezza, è un altro mondo. Con il prototipo “Biga” nel 1992 ho proposto un miniveicolo elettrico pubblico per la città. Bella? No. Funzionale e compatta? Sì».
Il fuoristrada si è trasformato prima in Suv e poi in crossover e ora domina il mondo. Perché?
«Ci piace viaggiare come se dovessimo affrontare un safari o una salita in montagna. Prima i Suv duri e puri, poi quelli da città come la Bmw X5 che gratificano per il frontale imponente, che assicura protezione».
Con la Megagamma del 1978 ha aperto la strada ai monovolume, che oggi stanno scomparendo.
«Il monovolume rappresenta l’essenza della funzionalità, ma non siamo riusciti a svilupparli in modo attraente».
Quale è stata la più grande occasione persa del mondo dell’automobile?
«Quella di non avermi fatto dirigere un brand. Ho sempre fatto il consulente, ma non ho mai deciso io come dovesse essere la vettura che andava in produzione».
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