Lo chiudono al Cie, ingoia pezzi di vetro

GORIZIA. Ha ingoiato uno dopo l’altro 15 pezzi di vetro infrangibile per protestare contro il proprio trattenimento al Cie di Gradisca. Oggi è ricoverato in Chirurgia del nosocomio di Cattinara dopo un delicato intervento al ventre. Quella di Hatem (il nome è di fantasia) è una storia come tante nascoste dietro al muro dell’ex Caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo. Ma è una storia che per una volta riesce a scavalcare quell’invalicabile recinzione ed arrivare all’opinione pubblica.
Hatem, 43 anni, è un cittadino tunisino. Lavorava nel nostro Paese ormai da anni – «perfettamente in regola», avrebbe assicurato – ma il suo permesso di soggiorno è scaduto. E non è più stato possibile rinnovarlo. E così, da un giorno all’altro, la vita di Hatem è cambiata. È stato disposto il suo fermo amministrativo e la sua traduzione nel Cie di Gradisca d’Isonzo in attesa di espulsione. Si è trovato a dividere la camerata con altri immigrati maghrebini: alcuni con alle spalle storie molto simili alla sua, altri invece provenienti dal circuito carcerario e in attesa di rimpatrio dopo avere scontato la pena. Proprio questo, pare, ha fatto perdere la testa ad Hatem. «Io non ho fatto nulla, non ho reati alle spalle, perchè mi trovo rinchiuso con queste persone? Non sono un delinquente» si sarebbe sfogato prima di passare alle vie di fatto. Qualche compagno gli deve avere suggerito di fare come tanti altri: ingoiare qualche bullone o qualche pezzo di vetro per tentare la strada del ricovero in ospedale. Per molti, l’unica vera possibilità di fuga: una volta al nosocomio, infatti, gli immigrati vengono piantonati solo in caso di esami di routine; in caso di ricovero le forze dell’ordine non sono tenute a sorvegliarli. Chissà se Hatem voleva davvero tentare la corsa verso la libertà o solamente inscenare una protesta: fatto sta che i dolori lancinanti hanno indotto il personale sanitario del Cie a decidere per il ricovero all’ospedale di Gorizia, dove la situazione è sembrata grave al punto da disporre il trasferimento dell’uomo a Cattinara per l’intervento chirurgico di rimozione dei frammenti ingoiati. Una storia come quella di Hatem, assicurano i sindacati di polizia, è ormai all’ordine del giorno. Prova ne sia che è stato disposto un servizio, garantito da Carabinieri e Guardia di finanza, per il trasporto all’ospedale degli immigrati. Prassi ormai quasi quotidiana. «Praticare atti di autolesionismo per ottenere il ricovero in ospedale è un comportamento sempre più diffuso fra i trattenuti al Cie – riflette Angelo Obit, segretario provinciale Sap -. Senza volere generalizzare su questo caso, la pratica d’ingerire vetri e bulloni è l’unica reale possibilità di fuga a disposizione di queste persone. Spesso funziona pure». L’ultimo caso qualche settimana fa, quando un ospite del Centro è riuscito a darsi alla macchia dopo avere ottenuto il trasferimento al nosocomio di Gorizia. «Alcuni arrotondano i pezzi di plexiglass in modo che non s’infilzino sugli organi interni – svela Obit -. Insomma, esistono anche tecniche piuttosto affinate. Ma quello che bisogna chiedersi è come sia possibile che le persone trattenute riescano a procurarsi questo genere di materiali da ingerire». Un aspetto del Cie che continua a fare discutere, comunque, è la pericolosa promiscuità fra tipologie di immigrato troppo diverse fra loro per convivere sino a sei mesi. Nella stessa cella convivono migranti come Hatem, che si sono ritrovati clandestini da un giorno all’altro per un documento scaduto o per essere stati pizzicati dopo anni di sfruttamento sul mercato nero del lavoro; e soggetti pericolosi che hanno sì saldato il loro debito con la giustizia, ma ai quali viene affibbiato un supplemento di pena (il trattenimento al Cie, appunto) in attesa che il Paese d’origine li riprenda indietro. Un mix esplosivo.
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