Lo indusse al suicidio, in cella per sei anni

Scattato il carcere per Renè Cappelletti: a lungo vessò e spillò denaro allo “zio” che infine si tolse la vita
Di Corrado Barbacini

Aveva messo fine ai propri giorni legando il cappio alla maniglia di una porta di casa e lasciandosi scivolare sul pavimento. «Mio nipote mi chiede sempre soldi, mi ha spolpato e io non reggo più questa situazione» aveva scritto a futura memoria Elio G., 62 anni, pensionato, la vittima di quella che altro non era stata che una spoliazione. Era il gennaio del 2008.

Ieri il “nipote” Renè Cappelletti, 45 anni, residente a Muggia in via D'Annunzio, è stato raggiunto da una pattuglia della squadra mobile: gli agenti gli hanno notificato un ordine di carcerazione. Lo hanno accompagnato in carcere dove dovrà restare per sei anni. Cappelletti due anni fa è stato condannato infatti a sei anni di carcere con rito abbreviato. Due i reati di cui il giudice Raffaele Morvay lo aveva riconosciuto colpevole: omicidio colposo e circonvenzione di incapace.

L’inchiesta era nata da un esposto presentato dall’avvocato Mauro Del Lago per conto dei familiari dello zio che si era ucciso: determinante si era rivelata la raccolta di materiale probatorio effettuata e messa a disposizione dei carabinieri e del pm Giorgio Milillo. Ne era emerso che Renè Cappelletti aveva cercato di far vendere allo zio la casa in cui viveva: si era fatto acquistare due automobili e di una terza si era impossessato; lo aveva indotto ad accendere un mutuo molto oneroso e lo aveva minacciato, maltrattato e ricattato. L’anziano all'inizio degli anni Cinquanta aveva frequentato un istituto cittadino specializzato nell'assistenza ai bambini e ai ragazzi affetti da un ritardo intellettuale e mentale. A livello legale non era un “incapace”, ma chi lo avvicinava e aveva malevole intenzioni capiva in poco tempo che era suggestionabile, sottomissibile. In sintesi il suo pensiero era rimasto poco più che infantile. Percepiva una pensione di 800 euro al mese versata su un conto corrente postale che René Cappelletti era addirittura riuscito a farsi cointestare. Aveva ceduto a una società finanziaria il cosiddetto “quinto di stipendio” ottenendo 18 mila euro, somma di cui non è stato possibile ricostruire l'iter. Sono scomparsi nel nulla e, secondo il contratto, il “quinto” il pensionato lo avrebbe dovuto pagare fino al 2017.

Alla fine Elio G. non era riuscito a reggere la pressione ossessiva e continua alla quale lo sottoponeva ogni giorno il giovane che lo chiamava «zio» anche se tra loro con c'erano legami di sangue. Lo «zio» aveva guadagnato questo ruolo solo perché gli era stato padrino di battesimo tanti anni fa. I maltrattamenti erano stati prolungati al punto che, come si legge sul capo di imputazione, «Elio G. aveva deciso di togliersi la vita nella propria abitazione».

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