Loghi supertassati, a Monfalcone le aziende li cancellano

Spending review delle aziende anche sulle insegne e sui marchi dipinti sui capannoni. Meglio tagliare queste spese piuttosto che le risorse umane, e la rivisitazione di questi capitoli di bilancio in alcune realtà monfalconesi ha messo in luce una situazione paradossale: nomi, lettere e indicazioni pagate a “peso d’oro”. Il famoso “refrain” che si sente spesso ripetere “a breve ci metteranno le tasse anche sull’aria che respiriamo” mai come stavolta rischia di essere vero.
Si tratta della famosa imposta comunale sulla pubblicità che viene pagata al Comune (per Monfalcone si tratta dell’Aipa). Alcune realtà industriali, dopo anni che non se ne curavano forse perchè la crisi non mordeva, hanno iniziato a spulciare i bilanci e dopo aver notato che le tariffe aumentavano sempre di più e comparivano vistosamente tra le voci di uscita, hanno deciso di porre rimedio. Come? Cancellando il nome o l’insegna all’esterno del capannone.
Lo ha fatto la Marter, una delle principali imprese portuali dello scalo di Monfalcone, che cancellando le insegne dei capannoni ha anche sollevato grandi preoccupazioni tra gli operatori che hanno pensato addirittura che l’azienda, già orientata verso il Tirreno, si preparasse ad andar via. «Nulla di tutto questo - chiarisce subito l’amministratore delegato, Raffaele Bortolussi - per mantenere questa scritta dovevo pagare ogni anno 10mila euro, uno sproposito. In questo momento di crisi economica in cui bisogna eliminare i costi non ho avuto alcun dubbio sul taglio di una voce superflua».
Lo ha fatto la Marter ma da quanto si sa, almeno guardando alcuni capannoni “anonimi”, è stata copiata (e lo sarà anche in futuro) da altre aziende. E a doverlo fare, una situazione paradossale, è stato anche il Consorzio per lo sviluppo industriale che ha cancellato i marchi sui capannoni pronti per essere affittati o venduti. Non si tratta di un’impresa ma di un ente pubblico economico che promuove lo sviluppo economico del territorio. «Non mi ero accorto di queste voci sui bilanci, probabilmente perchè le tariffe gli scorsi anni erano minori. Scorrendo gli ultimi resoconti però le cifre mi sono saltate all’occhio, probabilmente sono aumentate - spiega il direttore, Gianpaolo Fontana - e mi sono sembrate pesanti. Sui capannoni non c’era nemmeno il nome del Consorzio, ma soltanto alcune lettere del marchio. Abbiamo fatto presente all’Aipa che riteniamo ingiustificata la richiesta di pagamento. Ma ci hanno risposto che dobbiamo pagare. Non volevo ricorrere ad avvocati e intraprendere strade legali. Abbiamo pagato e a fine 2013 abbiamo cancellato con la pittura il marchio dei capannoni e dal 2014 non pagheremo più». E anche la decisione del Consorzio non è passata inosservata: quando gli imbianchini si sono presentati con scale e impalcature e si sono messi a dipingere per oscurare i marchi, un sacco di persone hanno intasato il centralino del Csim chiedendo preoccupate cosa stesse accadendo. Nulla di grave, come la Marter, il Consorzio, per tagliare le spese inutili, ha deciso di togliere simboli e marchi per evitare di pagare la tassa. Oltre 2mila 500 euro per un marchio disegnato, una cifra che per la Marter saliva a 10mila euro. Con alcune centinaia di euro di pittura e il pagamento per qualche ora dell’opera di un artigiano si è tutto risolto: cancellati marchi e simboli non si paga più.
Il quadro allucinante dell’obbligatorietà di un’imposta alquanto pesante emerge dal carteggio kafkiano tra lo stesso Consorzio e l’Aipa e il Comune di Monfalcone. In una lettera il direttore Csim spiega perchè ritiene «ingiustificata» la richiesta di pagamento: «Il nostro Consorzio non è un’impresa - scrive Fontana - che ha bisogno di promuovere la sua offerta di prodotti e servizi, ma è un ente pubblico economico. L’attività istituzionale è quella di promuovere lo sviluppo economico e favorire il sorgere di nuove iniziative industriali... L’apposizione di riferimenti grafici del Consorzio sui suoi beni vuole solo identificare la proprietà dello stesso, non promuovere la domanda di beni o servizi o migliorare la sua immagine». Pronta la replica dell’Aipa che allega anche una sentenza della Cassazione. «Il logo/marchio aziendale è uno strumento di comunicazione in quanto espressione di un progetto più grande che si chiama Branding, processo attraverso il quale l’azienda differenzia il proprio prodotto fra altri simili grazie all’utilizzo di nomi e simboli che dovranno trasferire i valori tangibili e intangibili del prodotto stesso... Il marchio facendo riconoscere un’azienda rispetto a un’altra rientra ne presupposto impositivo...». Lo dice anche la Cassazione: deve essere tassato anche un acronimo, un marchio che una ditta ha dipinto “addirittura sul tetto”. Non c’è scampo, bisogna pagare. C’è un solo rimedio: togliere tutto.
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