L'omicidio di Sanaa, ergastolo al padreUccise la figlia sorpresa col fidanzato

La sentenza del Tribunale contro il marocchino che aveva voluto ”punire” la figlia per la relazione con un italiano. Sanaa venne sgozzata dal padre con un grosso coltello da cucina che aveva acquistato poco prima del delitto
PORDENONE
Ergastolo. Pena massima, quella comminata dal giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Pordenone Patrizia Botteri, a El Ketaoui Dafani, il 45enne cuoco marocchino accusato di avere ucciso la figlia 19enne Sanaa, il 15 settembre scorso, solo perché lei voleva convivere con il fidanzato italiano Massimo De Biasio, 32enne ristoratore di Montereale Valcellina. Quattro ore e mezza di “dibattimento”. Tanto è bastato per mettere a fuoco le posizioni di un processo celebrato col rito abbreviato (prevede lo sconto di un terzo della pena) e fondato sulle carte, sulle prove e testimonianze già acquisite in fase di indagine preliminare. Il pubblico ministero Maria Grazia Zaina ha ricostruito in un’ora come è maturato e come è avvenuto l’omicidio. Tanti sms «anche espliciti e aggressivi», minacce ripetute, la supertestimone italiana di San Donà di Piave che aveva spesso accolto in vacanza la giovane marocchina e raccolto, una settimana prima del delitto, le confidenze del cuoco: le aveva preannunciato che lui sarebbe finito sui giornali, Sanaa in una bara.


Omicidio pluriaggravato dal rapporto di parentela, dall’efferatezza e dalla premeditazione, lesioni aggravate e continuate e porto abusivo di arma da taglio. Aggravanti prevalenti sulle attenuanti (l’incensuratezza dell’imputato), tanto basta per chiedere il carcere a vita, senza sconti di pena. L’imputato accenna un sorriso amaro. E parla per la prima volta: «Amo mia figlia Sanaa. Chiedo scusa a mia moglie, alle mie figlie, a Massimo De Biasio». Scuse «tardive», replica il legale della parte offesa, Massimo Ranaldi, «stridono con quello che ha fatto. Ha sgozzato sua figlia come fosse un capretto». Chiede un risarcimento di 100 mila euro «da donare interamente alle sorelle di Sanaa.


Le altre quattro parti civili – il ministero delle Pari opportunità, la Regione, la Provincia, l’Acmid – si rimettono alla decisione del giudice e chiedono un risarcimento simbolico di un euro. Le donne marocchine: «Non c’è attenuante culturale, stride con l’articolo 3 della Costituzione». È la volta della difesa: in due ore gli avvocati Marco Borella e Leone Bellio tentano di smontare la premeditazione puntando sul raptus. Il coltello e il mattarello erano stati acquistati per la cena di fine Ramadan. Dafani non aveva pianificato un agguato, «tanto che aveva chiesto a un collega di accompagnarlo a Montereale per convincere la figlia a tornare a casa». La richiesta: «Una condanna che gli consenta un futuro; il perdono l’ha chiesto inviando una lettera a giudice e pm».


Tre ore di camera di consiglio e il gup Patrizia Botteri (che aveva respinto la richiesta di perizia psichiatrica) ha deciso: ergastolo, interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale, decadenza della patria potestà, pubblicazione della sentenza su due quotidiani nazionali e sul sito www.giustizia.it, provvisionale di 50 mila euro a De Biasio, un euro alle associazioni, allo Stato risarcimento da liquidarsi in sede separata e spese legali per 5 mila euro. Motivazioni tra 60 giorni.

L’onorevole Souad Sbai soffoca un urlo di gioia, impassibile l’imputato, i suoi difensori: «È una pena esagerata, faremo ricorso».


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