L’orgogliosa diversità del borgo dove pesce e dieresi sono di casa
Lo sloveno utilizzato qui conserva ancora nella forma scritta l’umlaut tedesco E dietro ai banconi dei negozi trovi l’ex capitano del Vesna con origini rovignesi

Foto BRUNI 26.05.17 S.Croce: alcuni degli esercizi commerciali-Agraria Valentina
A Santa Croce un gatto sta mangiando una lucertola dietro le ultime case che danno sul mare. Una conchiglia appare sulla facciata della canonica e una linea bianca ridipinta quasi ogni anno segna il confine tra la zona “di sopra” e quella “di sotto”. Non è il paese dei sogni nascosti, delle fantasie immaginarie. È semplicemente un luogo che produce conservazione rispetto alla sua identità e che sicuramente preferisce mantenersi diverso da tutti gli altri paesi del Carso. Križ, come viene chiamato dalla comunità slovena, rappresenta al meglio la contaminazione che questa terra ha vissuto nel corso dei secoli; ha molti cattolici eppure ad aprile la bandiera rossa sventola in paese e dintorni. È uno dei rarissimi esempi dove lo sloveno, quando viene scritto, utilizza ancora oggi una particolare dieresi - l’umlaut tedesco - che generalmente il ceppo slavo da qui a Vladivostok non contempla quasi mai.
Santa Croce è un posto diverso perché si fa più fatica a capirlo degli altri. Ha un disequilibrio emotivo sugli spalti del Vesna, la squadra di calcio amaramente retrocessa dell’Eccellenza alla Promozione (le principali categorie di calcio dilettantistico regionali). È luogo dove il pesce è di casa e dove lo stato del cimitero fa discutere i paesani. È paese che riflette passione e che non disdegna il dissenso.
«
Mia nonna quando che la parlava dei pescadori la diseva sempre che el mar boiva co che rivava i tonni
», dice Valentina del negozio di agraria posto esattamente al centro del paese. Se è momentaneamente da un’altra parte, si deve far risuonare la piccola campana che penzola all’entrata e che si confonde con il verde delle piante che vengono vendute qui. «Ho studiato agraria e subito dopo ho cominciato a lavorare con le api. Questo punto vendita tuttavia riflette una tradizione famigliare. Io l’ho preso nel 1999». Valentina ha origini miste, sua madre infatti affonda le radici in quel mondo fatato che corrisponde al nome di Val Resia. «È un posto incantato, dove vivono fate ed elfi», sorride così. Dal torrente Resia al mare Adriatico ci sono meno di 100 chilometri in linea d’aria e per metterli in collegamento tra loro ci vorrebbe poco più di un’ora. «Sono anche un punto Ups sul Carso così le persone possono usufruire del servizio anche qui da me», conclude Valentina che nel frattempo è tornata alle sue piante.
Malu è stato capitano del Vesna per molti anni. Rovignese di origine potrebbe far parte di una storia che non sempre è stata compresa o accettata da tutti, qui sull’altopiano, vale a dire quella degli esuli istriani da dover impiantare tra le storiche comunità slovene presenti. «Avevamo una peschiera anche in via Giulia, nel rione di San Giovanni - racconta Malu mentre serve due turisti austriaci che si sono fermati in paese a comprare del pesce -. Mio padre è stato uno dei primi a introdurre le nasse qui in golfo; da lì in poi iniziò anche ad insegnare a molti pescatori come realizzarle».
Il paese possiede ulteriori attività come il negozio biologico, il market, lo storico tabaccaio, l’officina di Pino Argiolas e la panetteria Luna dove si può incontrare Taddeo Sedmak e con lui proseguire fino al cimitero. «La gestione di questo camposanto è vergognosa, come d’altronde gli appalti che vengono assegnati». Questo spazio sacro rappresenta l’ennesimo elemento che chi giunge a Trieste da fuori dovrebbe osservare da vicino. Tanti sono i cognomi sloveni che sono stati modificati. Anche l’entrata è stata cambiata, visto che è stata stravolta la posizione delle taniche che le persone utilizzano per bagnare i fiori dei loro cari. «Le signore un tempo avevano tutto a portata di mano, oggi invece non è più così», conclude Taddeo mentre passa davanti al pozzo costruito nel 1864. A fianco il bed and breakfast Nebojsega traduce dallo sloveno l’inutilità della paura nei confronti dell’altro, un bel modo per resistere alle sirene di una certa propaganda contemporanea.
Nel viaggio all’interno dei paesi del Carso inevitabile diventa il passaggio a Aurisina. La vecchia stazione ferroviaria ospita una birreria di austroungarica memoria. Alessandra è la titolare della Stube, una sorta di museo dedicato ai tempi in cui era Vienna a comandare. «Sono stati girati anche dei film qui nella stazione. I turisti che arrivano qui con i camper mi confidano che sembra di fare un salto nel secolo scorso e in effetti anche la stessa struttura tradisce una certa vicinanza con l’Ottocento».
La stazione è luogo che nel corso del ventesimo secolo ha visto un po’ di tutto. «Alcuni paesani ricordano ancora il fatto che i capistazione facevano scendere i deportati verso i campi di sterminio nazista aiutandoli a scappare da una morte certa», racconta Alessandra con emozione. Quando uscivano dai vagoni si nascondevano nei bunker che si trovano esattamente di fronte al giardino incantato della Stube. «Sulla facciata della stazione è poi ancora visibile un colpo di artiglieria sparato da punta Sdobba dall’esercito italiano il 16 agosto del 1917. Crollò il tetto - così Alessandra che alla fine racconta un’ulteriore storia legata ad eventi bellici -. Dicono che dalla cantina i partigiani riuscissero a scappare verso il terzo binario, l’ultimo e più vicino alla radura per poi darsi alla macchia».
Tra gli gnocchi e le patate in
tecia
poi arriva una speranza. «La convivenza con la comunità slovena è buonissima, il rigore che esisteva un tempo oggi non c’è più. I tempi cambiano». Fortunatamente i rapporti si normalizzano. Anche se ricordare le colpe di cui si è macchiato il fascismo qui sul Carso è bisogno quotidiano, fondamentale per poter mantenere l’opera di riconciliazione. La città e il suo circondario ne hanno bisogno. Oggi più che mai.
5. - continua
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