L’Outlet apre la speranza ai lavoratori di Conforama

di Elena Placitelli
CERVIGNANO
L’ampliamento dell’Outlet accende la speranza di ricollocare gli esuberi di Conforama. È l’altra faccia della medaglia. Da una parte l’ipotesi di sviluppo del centro commerciale palmarino fa paura per gli inevitabili risvolti sui negozi locali. Dall’altra, a beneficiarne potrebbero essere proprio i cassintegrati dell’ex Mercatone di Bagnaria. Almeno secondo la provocazione che quest’estate i sindacati avevano lanciato all’Outlet Village per dimostrare che, come insegna il caso Conforama, le aperture domenicali non servono a contrastare la crisi. La provocazione era però stata accolta dal direttore dell’Outlet, Maurizio Villa. E ora faranno leva anche su questo Claudio Moretti e Claudio Caporale, i segretari provinciali della Tucs-Uil e della Filcams-Cgil, che si sono occupati dei 50 esuberi, un terzo del totale impiegati nel punto vendita di Bagnaria. I sindacalisti hanno chiesto di incontrare a breve i vertici di Conforama e dell’Outlet Village, per capire quale prospettiva di ricollocazione ci sia per gli esuberi. La speranza è che i cassintegrati possano essere impiegati non solo nel nuovo punto vendita che Conforama vuole aprire nel 2013 a Martignacco, ma anche all’Outlet di Palmanova, a maggior ragione se il centro commerciale verrà ampliato.
Ma la crisi nella Bassa non si chiama solo Conforama. A fianco del commercio, i settori del legno e dell’edilizia sono i più colpiti dalla congiuntura economica, con pesanti ripercussioni sull’occupaziona. L’allarme viene dalla Uil che, per bocca del sindacalista Mauro Franzolin (competente dei due settori in crisi) traccia un quadro tutt’altro che incoraggiante. Per il settore del legno, dall’inizio della crisi (che viene fatto risalire all’inizio del 2000) i due terzi dei lavoratori della Bassa sono stati licenziati. «Se prima della crisi il distretto della sedia contava 14mila lavoratori, oggi non si superano i 6mila. Circoscrivendo i dati ai lavoratori provenienti dalla Bassa, si è passati da 1.500 a 500 unità», afferma Franzolin. Il colpo di grazia l’ha dato qualche anno il fallimento dell’Ita di Crauglio, a San Vito al Torre. Nel 2011 è fallita un’altra realtà importante, l’Iride di Aiello, con 70 dipendenti in mobilità o in cassa integrazione. «Ma a differenza di qualche anno fa, oggi i lavoratori hanno molte meno probabilità di essere ricollocati», continua il sindacalista. La chiusura dell’Iride ha pesato su tutta la Bassa, provocando ripercussioni sulle aziende satellite, di più piccole dimensioni, con al massimo di 15–20 dipendenti. Più grave la situazione nell’edilizia, che vede nel territorio una ventina di aziende in sofferenza e 200 lavoratori coinvolti. Qui pesa soprattutto l’effetto traino. Franzolin spiega che «per ogni impiegato nell’edilizia, ci sono altri 3 lavoratori che vengono occupati nei settori connessi. Crescendo la disoccupazione nell’edilizia, le ripercussioni negative ricadono su tutta la filiera». Da qui la tirata d’orecchi agli enti locali: «Se Regione, Provincia e Comuni investissero denaro nell’edilizia, ci sarebbe un immediato beneficio su un ampio profilo occupazionale. È necessario che le risorse destinate agli appalti vengano utilizzate quanto prima».
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