Lubiana “dimentica” le vittime dei titini

Sono trascorsi sei anni da quando è stato rotto il diaframma di cemento che ricopriva il pozzo minerario di Huda Jama svelando l’orrore. In fondo alla cavità, infatti, giacevano e giacciono ancora i cadaveri di almeno 2.500 vittime della violenza dei partigiani di Tito che giustiziarono sommariamente domobranci ma anche gente comune che non voleva abbracciare la “buona novella” comunista trasformandosi così automaticamente in nemico del popolo da eliminare.
A essere esumati sono stati i resti di 778 persone. Resti che giacciono impietosamente raccolti in sacchi di plastica all’interno di una galleria della miniera. Per loro, e per le migliaia ancora nel buco, nessuna sepoltura, nessuna lapide, e tantomeno nessun monumento, per ricordare questa orribile pagina della storia del XX secolo. E nulla si prevede neppure quest’anno quando il 9 maggio sarà celebrata la fine della Seconda Guerra mondiale.

E di Huda Jama resta ancora la testimonianza di un uomo che all’epoca dell’eccidio guidava uno dei camion che trasportavano i prigioneri, rinchiusi nel campo di concentramento di Teharje nel loro ultimo viaggio. I camion trasportarono per sette noti consecutive le vittime davanti alla miniera, fino a quando questa non si è riempita di cadaveri.
A tenere viva la memoria di queste vittime ancora oggi di serie B ci pensa in Slovenia Mitja Ferenc, professore di storia alla facoltà di filosofia dell’Università di Lubiana nonché presidente dal 1990 della speciale commissione incaricata di scoprire ed esplorare tutti i luoghi delle carneficine dei titini. Un elenco lunghissimo che illustra la “geografia” del terrore che imperava in Slovenia (allora Jugoslavia appena liberata dall’occupatore nazifascista) con numero da non fare invidia al regime dei Khmer rossi in Cambogia. E Ferenc non esita ad accusare le autorità statali della Slovenia di limitarsi a costruire dei monumenti sopra questi “cimiteri” (non è il caso di Huda Jama) quasi a voler pulire la propria coscienza da questi efferati crimini, quando in verità l’opera di ricerca è stata di fatto bloccata.
«Ho paura di simili decisioni - afferma Ferenc - con cui il potere vorrebbe chiudere la partita e chiudere anche gli occhi. Il potere non vuole, non sa oppure non ha il coraggio di fare quello che sarebbe giusto: continuare il lavoro in tutti i cimiteri degli eccidi titini presenti in Slovenia con un pubblico ricordo di quanto in questi luoghi è avvenuto e dando alle vittime una dignitosa sepoltura».
E così, mentre l’esecutivo pensa a emanare un bando internazionale per erigere in centro a Lubiana un monumento alle vittime di tutte le guerre, lavandosi così la coscienza e le mani nella ciotola pilatesca della storia, c’è da rilevare che fino ad oggi la ricerca dei cimiteri delle vittime degli eccidi dei titini nell’immediato dopoguerra iniziato nel 1990 ha portato a identificare oltre 600 siti in tutta la Slovenia, mentre resti umani sono stati fin qui trovati “solo” in ventisette.
Oltre a Huda Jama e a Ko›evski rog (forse i due più conosciuti) c’è il sito di Tezno, vicino a Maribor, dove i lavori di recupero delle salme non è ancora iniziato. È sicuramente una delle “foibe” più grandi della Slovenia. Qui, nel 1999, in una cavità anti-carro, furono ritrovati i resti di 1.179 persone. Nel 2007 i sondaggi che furono effettuati dimostrarono che l’intera cavità lunga 930 metri è piena di cadaveri. Le prime stime fatte dagli esperti parlano di circa 15mila vittime gettate del buco.
I cimiteri degli eccidi di massa dei titini sono presenti in più di cento comuni della Slovenia, mentre il numero complessivo delle vittime resta ancora un mistero. Ma sono molti, anzi troppi, quelli che non vogliono far e i conti col passato.
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