L’urinatoio di Duchamp e i geni dell’arte

TRIESTE Per gli amanti dell’arte, un appuntamento imperdibile è la mostra “Duchamp, Magritte, Dalì – I Rivoluzionari del’900” che in queste settimane espone, a Palazzo Albergati a Bologna, oltre 200 capolavori di dadaisti e surrealisti. In mostra anche la famosa “Ruota di bicicletta”, il ready-made di Duchamp costituito da una ruota con i raggi poggiata su uno sgabello bianco, diventata, insieme all’urinatoio dello stesso artista, il simbolo di rottura del dadaismo.
Perché l’uomo ha sviluppato, unica specie sul pianeta, un tale interesse per l’espressione artistica, apparentemente slegata dalle esigenze della sopravvivenza quotidiana ma talmente importante che Karl Popper includeva arte, musica e scienza tra “i più grandi, belli e illuminanti bisogni dello spirito umano”? Secondo Dennis Dutton, compianto filosofo neozelandese – autore di “The Art Instinct”, uno dei libri da non perdere –, è comunque Darwin a spiegare la nostra irresistibile attrazione verso l’arte. Oltre che sulla selezione naturale, l’evoluzione si basa anche sulla competizione riproduttiva: i maschi di una specie competono per le femmine, e le femmine scrutinano i maschi per selezionare quelli che garantiscono i geni migliori.
Quando rimaniamo ammaliati da un capolavoro artistico, quindi, in realtà non guardiamo all’oggetto in sé, ma all’ingegno di chi lo ha prodotto. A sostegno della sua tesi, Dutton propone un esempio paradigmatico. Nella Germania nazista degli anni’30, fu ritrovato in una soffitta un quadro che i più accreditati critici attribuirono a Vermeer. Esposto al pubblico, fu acclamato quale il più grande capolavoro dell’artista olandese. Dopo la guerra, però, un falsario di grande talento fornì le prove che quel quadro, in realtà, era stato dipinto da lui; dopo essere stata tanto ammirata, l’opera finì dimenticata in una cantina.
Quello che era cambiato non era l’oggetto in sé – il quadro rimaneva sempre lo stesso – ma la percezione di originalità dell’artista che l’aveva dipinto. In maniera analoga, l’urinatoio di Duchamp, la mostra vuota di Yves Klein, i 4’33’’di silenzio di John Cage non sono capolavori in quanto tali, ma perché esprimono la genialità di chi li ha proposti nel proprio contesto culturale e sociale. In senso evolutivo, quindi, l’arte non ha un significato diverso da quello della coda del pavone o dei colori e del canto degli uccelli: un modo innato per sfoggiare quanto siano straordinari i geni dell’artista.
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