Magazzino 26, museo dell’Esodo aperto dalla prossima settimana

L’assessore Rossi e i vertici dell’Irci spiegano che le visite avverranno una volta ogni sette giorni su prenotazione fino all’allestimento definitivo
Magr
Silvano Trieste 2021-09-28 Presentazione del Museo dell'Esodo
Silvano Trieste 2021-09-28 Presentazione del Museo dell'Esodo

Il presidente Franco Degrassi e il direttore Piero Delbello annunciano la lieta apertura: dalla prossima settimana, che è la prima di ottobre, il museo dell’Esodo, allestito dall’Irci nei mesi estivi all’interno del Magazzino 26 in Porto vecchio, sarà visitabile una volta alla settimana su prenotazione. Più o meno come già succedeva con il Magazzino “18”, precedente scrigno delle masserizie istriane traslocate a Trieste in seguito al forzato sgombero dell’Adriatico orientale nel secondo dopoguerra.

L’apertura resterà rapsodica fino a quando il Comune installerà l’impianto di climatizzazione nella prima sala museale, consentendo la collocazione di reperti archeologici.

Una “prima” semi-ufficiale ieri mattina al secondo piano del “26”, officiata dall’assessore Giorgio Rossi, fiero della sua histrianitas umaghese: al punto da chiedere all’Irci di spolverare un vecchio plastico della località rivierasca, nel quale è ancora rilevabile quella calle Chiusa dove il futuro pubblico amministratore ebbe i natali.

Degrassi & Delbello, presentando i 5 spazi finora allestiti (tre stanze e due corridoi), hanno auspicato che il museo possa dotarsi di ulteriore metratura dove narrare gli esiti nazionali e internazionali dell’Esodo, cioè come istriani e dalmati seppero riorganizzare le loro esistenze dopo il doloroso strappo.

Per il resto, dopo l’articolata pre-view di lunedì, vero protagonista della mattinata è risultato, finalmente disvelato, l’architetto Giulio Polita, un profilo consulenziale molto importante nella realizzazione museale. A Polita si deve la “nuvola” di 2.000 sedie, che raccoglie e incastra in un incredibile groviglio gli scranni traslocati dalle famiglie partenti: due settimane di lavoro, per intenderci. Polita vede questo particolare museo come «una grande installazione», «con un ritmo da canzone popolare dove le stanze sono le strofe e dove i corridoi sono i ritornelli». La preoccupazione - ha raccontato - era «farci stare tutto», rispetto al Magazzino 18 «con una maggiore intenzione formale aiutata dalla definitività della soluzione allestitoria». —



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