Medici in fuga dal Pronto soccorso di Cattinara, il direttore: “Tocca ai gettonisti”
L’allarme del dottor Franco Cominotto, responsabile del Pronto soccorso e medicina d’urgenza: «Negli ultimi due mesi via 5 colleghi. Se ne perderemo altri si dovrà ricorrere ai libero professionisti per coprire i turni»
«Negli ultimi due mesi sono usciti 5 medici dipendenti dal Ps. Non avendo altre possibilità, potrei essere costretto a far fare dei turni a medici libero professionisti a 85 euro all’ora».
Franco Cominotto, direttore del Pronto soccorso e Medicina d’urgenza a Cattinara, anticipa la svolta possibile dei gettonisti.
Un salvagente inevitabile nel reparto più sotto pressione dai tempi della pandemia, «per quanto i primi segnali si vedessero pure prima del Covid».
Quali le cause della crisi dell’area dell’emergenza?
«I punti critici che ad oggi non presentano soluzioni di facile e immediata attuazione sono inappropriatezza della domanda, aspettative del singolo incompatibili con un sistema sanitario complesso e articolato, decadenza sociale nei termini della presa in carico dei soggetti fragili, mancanza di professionisti dell’emergenza».
Perché troppe persone si presentano in Pronto soccorso?
«Per una percezione “personale” di urgenza. Pazienti che non si accontentano della risposta del medico di medicina generale o di una programmazione ambulatoriale, ma pretendono soluzioni rapide, possibilmente corredate da accertamenti che solo in Ps possono avere tempistiche da loro percepite come giuste».
Le conseguenze?
«Il caso inappropriato che accede al Ps si inserisce in un ambito già congesto, distoglie risorse professionali e di tempo assistenziale, penalizza le vere urgenze. In presenza di aspettative errate, anche la gestione del flusso degli utenti si complica: l’utilizzo dei codici colore, determinante per ridurre i tempi di attesa dei più gravi, non viene compreso da tutti; ciò si traduce in proteste, reclami, violenza verbale e fisica nei confronti degli operatori».
Qual è la situazione quotidiana?
«In questo periodo abbiamo gli stessi numeri che si registravano in pre-pandemia, già alti: 150-170 accessi al giorno al Ps di Cattinara e 40-50 al Ps del Maggiore, la maggior parte di medio-bassa complessità. Si aggiungono le difficoltà nella collocazione dei pazienti: carenza di posti letto di degenza e insufficiente capacità di riaccoglimento territoriale-domiciliare sono le cause principali del sovraffollamento dei Ps».
Un problema, dunque, anche sociale?
«Il 35% degli accessi nei Ps di Trieste è di over 75. Troppi anziani vivono soli, con supporti assistenziali minimali. Alle famiglie, sempre più, servono Rsa, case di riposo, servizi sociali».
Il filtro della medicina generale?
«Non conosco a sufficienza le funzioni e le complessità della medicina generale e non sono in grado di fornire giudizi oggettivi; è tuttavia evidente che la carenza di medici, un numero di assistiti sempre più alto, un contesto sociale complesso e con aspettative elevate non agevolano la presa in carico. Non è, in sostanza, tutta colpa della sanità pubblica e dell’ospedale. Ogni anello della catena è fondamentale. Affinché il Ps funzioni al meglio con le risorse a disposizione, si richiede che il territorio funga da filtro e, attività ancor più determinante, riaccolga le categorie fragili e ne gestisca al meglio i bisogni».
Le soluzioni?
«Alcune cose non si controllano. L’allarme per sintomi o eventi minori, la percezione che le risposte debbano essere fornite immediatamente, le “certezze” diagnostiche e terapeutiche via web sono difficili da modificare. In questo contesto, attivare alternative assistenziali al Ps, ampliare le ore di attività della medicina territoriale, agevolare la domiciliazione degli assistiti che non necessitano di cure urgenti, avviare i percorsi di presa in carico dei fragili attraverso unità polifunzionali (geriatra, fisiatra, infermiere del territorio, servizi sociali) operative in Ps, con la mission di facilitare l’uscita verso strutture intermedie o verso case di riposo sono strategie per un beneficio certo alle funzioni delle aree di emergenza».
La scarsa attrattività del mestiere?
«Un dramma. Paghiamo errori antichi, a partire dalla mancata programmazione del numero minimo di medici necessari per la nostra sanità pubblica. Nello specifico dell’emergenza, è consolidato che la professione non attrae. Le nuove generazioni di medici scelgono specializzazioni di indirizzo ambulatoriale, rifiutano a priori l’idea della turnistica, del lavoro notturno e dello stress certo della porta dell’ospedale. Da anni le scuole di specializzazione più quotate sono Oculistica, Dermatologia, Gastroenterologia, con la Medicina d’urgenza all’ultimo posto. Quest’anno accademico, su 24 posti disponibili a Trieste, hanno accettato di intraprendere questo percorso formativo soltanto 2 giovani medici».
Cosa serve per lavorare in Ps?
«Passione, entusiasmo, resilienza e un po’ di sana incoscienza». Come invertire la rotta? «A Cattinara, grazie alla stretta collaborazione con l’Università e gli stessi specializzandi, abbiamo codificato un percorso formativo positivo. I giovani medici in formazione sono stati progressivamente integrati nel lavoro del Ps e, dal quarto anno, assunti con decreto Calabria e affiancati a medici esperti per poi essere inquadrati a titolo definitivo al termine della scuola di specializzazione».
Ma in quanti siete oggi?
«Anche se 5 dei miei collaboratori, specialisti giovani e validi, hanno scelto percorsi diversi, mi ritengo fortunato; il gruppo che dirigo assicura continuità e appropriatezza di cure. In 39, di cui 5 specializzandi, garantiamo una presenza attiva di almeno 5 medici nelle ore diurne a Cattinara e 3 nelle ore notturne, la copertura delle 12 ore diurne del Ps del Maggiore e un’attività di medicina semintensiva attiva nelle 24 ore».
Serviranno i gettonisti?
«Al momento, salvo altre uscite impreviste, siamo in grado di sostenere i carichi di lavoro. Ma, dovessero mancare ancora medici e in carenza di specialisti o specializzandi interessati, saremo costretti a chiedere alla direzione di Asugi il supporto di medici in libera professione, gettonisti o cooperative».
E come si lavorerà con loro?
«I “gettonisti” inseriti nelle attività dei Ps nel post-Covid sono diventati una necessità, hanno consentito di mantenere attive strutture che altrimenti sarebbero state chiuse. Ma da subito sono emerse oggettive difficoltà di gestione dei professionisti impiegati nell’emergenza: integrazione di esperienze e professionalità molto diverse, macroscopiche e ingiustificate disparità di trattamento economico tra libero professionisti e dipendenti delle Aziende, prevalente impiego dei libero professionisti in linee di processo più semplici, parlo dei codici minori, sono gli elementi critici».
Come superarli?
«Le equipe mediche e infermieristiche impiegate nell’assistenza sanitaria dei Ps hanno bisogno di uniformità di formazione, condivisione di cure e protocolli, integrazione con le funzioni complesse degli ospedali, incentivazione economica ed equilibrio nella distribuzione dei compensi. Obiettivi da perseguire con estrema urgenza».
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