Medico prosciolto dopo sette anni: «È stato un calvario che mi ha distrutto»

Il ginecologo Annarelli assolto con formula piena in Appello. Il legale Bacchetti: «La sua condanna è stata il processo»

MONFALCONE.  Ha dovuto attendere 7 anni per veder riconosciuto che aveva fatto il possibile per salvare quella creatura che non ha mai visto la luce. Sette anni prima che la Corte d’Appello pronunciasse l’assoluzione con la formula più liberatoria, perché il fatto non sussiste. Con ciò ribaltando l’esito del pronunciamento in primo grado che per la morte del piccolo lo aveva condannato a 8 mesi, già caduta, invece, l’ipotesi di falso in cartella clinica per la quale anche i giudici di Trieste hanno confermato la piena assoluzione.

Una sentenza, quella d’Appello, definitiva, passata in giudicato. Il ginecologo Gianluca Annarelli, operante all’ospedale di San Polo, ha certo riacquistato la sua piena dignità, sancita dal Tribunale. Giustizia è fatta, ma per tutto questo ha pagato un duro prezzo, personale prima ancora che professionale e sociale. Le sentenze si rispettano, i tempi sono appannaggio del sistema giudiziario, ma soprattutto nel penale possono lasciare segni indelebili a fronte di un’innocenza “in differita”.

«È stato un vero e proprio calvario, quanto ho dovuto sostenere mi ha distrutto, come persona e come professionista. In tutto questo tempo mi sono sentito rovinato, privato della mia dignità per qualcosa che, ora che è stato anche riconosciuto dalla giustizia, non ho fatto».

Il medico ricorda bene la sofferenza che lo ha accompagnato per 7 anni come una seconda pelle. I dubbi e le incertezze scavano dentro. Il lavoro, pur affrontato con capacità, responsabilità e la costanza affidate al giuramento di Ippocrate, vissuto come se fosse sempre e comunque sub judice. L’immagine pubblica offuscata, quando non anche compromessa, perché il dubbio in qualche modo diventa “sociale”.

«Avevo fatto di tutto, era stato fatto di tutto, per salvare il piccolo, ma non era nelle nostre possibilità. Il mio rammarico, piuttosto, era stata l’impotenza di fronte a problematiche per le quali la tecnica medica non è in grado di dare purtroppo risposte».

Allora, di fatto, ci credevano solo Annarelli ed il suo difensore, avvocato Filippo Bacchetti, del Foro di Roma. Il legale ha osservato: «La certezza e l’efficienza del diritto sono fondamentali, altrimenti la vera condanna diventa paradossalmente il processo. Il mio cliente è stato condannato a sette anni di processo. Rimane su tutto un grande interrogativo: c’è una congrua ed equilibrata proporzionalità tra i tempi della giustizia e le sue conseguenze, oppure invece sono le conseguenze ad essere pagate in anticipo, pure essendo di fronte, come in questo caso, alla completa assenza di responsabilità penali?».

Il legale ha aggiunto: «L’assoluzione definitiva e con formula piena stabilita dalla Corte d’Appello ha avuto un effetto liberatorio, ha fatto giustizia, ma per la collettività, non per Annarelli rispetto agli effetti oltremodo pesanti in ordine alla propria personalità, dignità, ambizione e stima in se stesso. È un’afflizione che poi nessuno risarcisce, né può essere risarcibile. Ciò che resta è un’etichetta forse anche impossibile da superare, un’ombra che rimane sullo sfondo».

L’avvocato Bacchetti si sofferma sui tempi della giustizia: «Una sentenza su tre oggi e molto lunga. Ritengo sia necessario ridurre i tempi di prescrizione per poter giungere ad una ragionevole certezza del diritto. Significa anche minore lavoro per i giudici, minore impegno per i legali, minori costi, per un’effettiva economia processuale.

Nel 2020 diventerà operativa la riforma della prescrizione, che ne prevede l’interruzione dei termini dopo la sentenza di primo grado. Mi chiedo che senso abbia, poiché non ridurrebbe i tempi delle indagini e renderebbe eterni i processi successivi a quello del primo grado, con le sentenze a passare in giudicato dopo 15 anni».


 

Argomenti:sanità

Riproduzione riservata © Il Piccolo