Menato in pensione: «Direzione unica per la biblioteca e l’archivio di Stato»

Il primo agosto il direttore della Biblioteca statale isontina Marco Menato andrà in quiescenza. Un raro caso di goriziano di ritorno visto che aveva vissuto da ragazzo negli anni Settanta a Gorizia con la famiglia, il padre era direttore della Banca d’Italia. Tornato nel 1996 per assume l’incarico, ricevette il testimone da Otello Silvestri, con il quale aveva collaborato come volontario per un paio d’anni da studente di Lettere a Trieste.
«Arrivai pensando di stare alcuni anni – spiega Menato – poi i casi della vita e le amicizie hanno cambiato i miei progetti. Non me ne sono pentito, avendo avuto la possibilità da subito di progettare nuovi modi per far tornare la Biblioteca centro di attività culturali dopo sette lunghi anni di chiusura per restauri».
Per che cosa vorrebbe si ricordasse la sua direzione?
La mia attività è stata certamente caratterizzata dal lavoro documentario-artistico nel campo dell’arte contemporanea, una mia passione accanto allo studio e alla ricerca bibliografica. Come bibliotecario ho dato impulso alla pubblicazione dei cataloghi dei gioielli presenti nella Bsi con particolare attenzione ai fondi e alle biblioteche private di interesse pubblico. Un lavoro di ricerca e acquisizione che da una parte li ha salvati dalla dispersione e dall’altra permette agli studiosi un approfondimento sulla storia locale da punti di vista diversi.
A chi passerà il testimone?
Al momento nessuno all’orizzonte. A maggio inoltre andrà in quiescenza anche la dottoressa Antonella Gallarotti e il personale rimasto sarà di 18 persone contro le 31 del 1996.
Lei ha fatto però una proposta innovativa al Ministero dei Beni culturali...
Creare un’unica direzione con l’Archivio di Stato. All’estero è una prassi consolidata. Potrebbe essere un laboratorio in vista degli impegni del 2025 di Gorizia-Nova Gorica capitale europea della cultura.
Come si può definire oggi la Bsi?
Una biblioteca archiviale di conservazione dove lo storico locale ma anche il lettore raffinato può trovare fondi unici, quello di Carlo Michelstaedter è un esempio. Un fortilizio librario in questo periodo difficile nel quale le materie umanistiche hanno sempre meno peso. Chi verrà dopo dovrà trovare nuovi spunti in quanto gli spazi sono saturi e i fruitori sono di qualità ma con numeri di nicchia.
La Galleria “Mario Di Iorio”, ricavata nei sotterranei del seicentesco Palazzo Werdenberg, si è conquistata un ruolo importante in città e in regione?
Dal 1998 al 2020 sono state organizzare circa 300 mostre, una media di 15 all’anno e con le donazioni degli artisti è stata creata una collezione di oltre 300 opere, catalogate e pubblicate in un volume nel 2018. Ma non solo, per ogni artista è stato creato in archivio di cataloghi, depliant e materiale di solito ritenuto minore.
Quale mostra ricorda con maggior piacere?
Certamente quella dedicata a Zoran Music nel 2005 dal titolo “Piccole carte” allestita con opere inedite di un collezionista privato. La prima postuma del grande artista. È stata un’attività continuativa e costante con artisti di tutta la regione ma anche a livello italiano e internazionale con attività collaterali e, quando possibile, la pubblicazione di un catalogo. L’unione tra passione e aspetto tecnico bibliografico proprio del mio mestiere.
Come è cambiata Gorizia in 25 anni?
Impoverita di abitanti dallo sguardo volto al passato. Una città archiviale, una caratteristica che, se debitamente valorizzata, può avere il suo fascino.
Quali progetti in futuro?
Continuare a ricercare e scrivere libri su libri. In uscita il Dizionario dei tipografi e degli editori italiani del ’500. –
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