Migranti, la Slovenia teme la nuova ondata

Preoccupa l’accordo Turchia-Ue: ordinati altri container per i centri di accoglienza, si amplia la barriera di filo spinato
La rete di filo spinato della Slovenia lungo il Dragogna (archivio)
La rete di filo spinato della Slovenia lungo il Dragogna (archivio)

ZAGABRIA I centri di accoglienza sloveni si equipaggiano con nuovi container abitativi, mentre al confine con la Croazia prendono il via i lavori di manutenzione e ampliamento del filo spinato. Lubiana, ufficiosamente, si prepara a una possibile riapertura della rotta balcanica.

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«Se la Turchia lasciasse passare alcune centinaia di migliaia di migranti in Grecia, tutti i Paesi sulla rotta balcanica non avranno possibilità di fermarli», confida al quotidiano sloveno Dnevnik un alto funzionario dell'esecutivo di Miro Cerar, che preferisce mantenere l'anonimato.

«La Slovenia si potrebbe trovare nella situazione di diventare un hot spot europeo dato che, a differenza dell'anno scorso, l'Austria e la Germania si rifiuteranno di accogliere i migranti», aggiunge il funzionario.

Ecco che la barriera al confine con la Croazia - quell'«ostacolo tecnico» che taglia in due anche l'Istria - è non soltanto destinata a rimanere dov'è nei prossimi mesi, ma anche a venire prolungata in certi tratti.

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Secondo la stampa croata, in Slovenia si percepisce già «la paura di una nuova ondata migratoria», come scrive il quotidiano Jutarnji List, spiegando come sia proprio l'accordo tra Turchia e Unione europea a scricchiolare sempre più (dopo il fallito golpe turco) e a impensierire di conseguenza le autorità di Lubiana.

A Logatec, nel sud-ovest della capitale slovena, il locale centro di accoglienza ha già ordinato un totale di cinquemila metri quadri di unità abitative, mentre i comuni di Dobova, Sentilj e Lendava - che fino a questa primavera costituivano dei nodi centrali della rotta dei Balcani - sono «già pronti a tornare operativi», assicura Jutarnji List.

Per il quotidiano croato, la Slovenia ha registrato nelle ultime settimane l'arrivo di diversi gruppi di migranti, alcuni dei quali sono stati respinti, mentre altri hanno fatto richiesta di asilo nel paese. Un flusso che non rappresenta un problema ingestibile per Lubiana, ma che potrebbe evolvere in fretta nel caso di un cambiamento sostanziale più a sud.

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«Da quando la rotta dei Balcani è stata formalmente chiusa nel marzo scorso non ci sono stati nuovi ingressi in Croazia, se si escludono i piccoli gruppi di persone entrate illegalmente con l'aiuto di trafficanti, ma è al confine serbo-ungherese che la situazione si è fatta molto tesa», spiega Sara Kekus del Centro per gli studi sulla pace di Zagabria, la principale associazione croata coinvolta nell'accoglienza dei profughi.

«Ci sono circa mille persone che aspettano ogni giorno di entrare in Ungheria e se la situazione dovesse peggiorare, penso che la rotta attraverso la Croazia si riattiverebbe», aggiunge Sara Kekus. Come in Slovenia, così nei centri di accoglienza croati, il numero di richiedenti asilo che attendono il completamento della propria procedura di protezione internazionale rimane basso.

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Il centro per gli studi sulla pace ne conta circa 250, divisi tra i centri di Zagabria e di Kutina, a sud-est della capitale. Questa situazione per il momento sotto controllo in Slovenia e Croazia (a differenza della Serbia, dove un flusso di centinaia di persone è registrato ogni giorno), dipende tuttavia dalla tenuta dell'accordo turco-europeo che, negli ultimi giorni, sembra essere sempre più instabile.

Per il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, se la liberalizzazione dei visti europei non sarà approvata come promesso nei confronti dei cittadini turchi, salterà il freno di Ankara ai migranti. «Non abbiamo bisogno di un accordo con la Turchia», ha ribattuto pronto il ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz.

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