«Mio figlio celiaco rimasto a digiuno»

L’accusa della mamma di un alunno del Tor Cucherna «Mi hanno vietato di dargli alimenti adatti al suo disturbo»
Di Gianpaolo Sarti

Il bambino senza pranzo, la mamma che perde un'intera mattinata di lavoro. Succede anche questo nella convulsa giornata di scioperi alle mense scolastiche comunali.

È la signora Mila, mamma di un bimbo celiaco di quasi cinque anni iscritto alla scuola per l'infanzia "Tor cucherna”, a raccontare la vicenda. «Nessuno ha pensato a mio figlio - accusa - ho dovuto portarlo via dall'asilo, altrimenti non avrebbe mangiato fino alle cinque del pomeriggio». Non ha dubbi, la madre: «La ditta non ha preparato i pasti per chi ha malattie alimentari. Questa è discriminazione».

Signora, cosa è accaduto precisamente a lei e a suo figlio?

Stamattina (ieri, ndr), dopo la pausa del Carnevale, ho riportato il bambino in asilo. Avevo letto del problema dello sciopero e quindi subito dopo ho telefonato a scuola per capire se i “pasti di emergenza” prevedevano anche il pranzo per mio figlio che è celiaco.

Cosa le hanno risposto?

Mi hanno detto di no. Perché quando c’è uno sciopero della ditta e vengono forniti i pranzi al sacco, per i bambini con problemi alimentari non è previsto nulla. Non c’è un’alternativa per loro, per questo mi sono alterata: la trovo una discriminazione.

Quindi cosa ha fatto?

Sono andata a riprendermi il figlio, quindi non ho potuto nemmeno andare a lavorare per tenerlo. Insegno in Croazia, all’università di Fiume; avrei dovuto andare a fare lezione e iniziare il semestre. Ma visto che nessuno a scuola provvedeva al pranzo, non potevo lasciare mio figlio a digiuno fino alle cinque del pomeriggio.

Ma non poteva portare qualcosa da casa?

È quanto ho proposto all’asilo già di mattina, ma mi è stato detto che non era possibile, che le norme non lo consentono. Anche perché c’è tutta una procedura di tutela per i bambini celiaci nelle scuole. Perché, per assurdo, io avrei potuto dare a mio figlio un panino non senza glutine e poi accusare la scuola. Questo, in parole povere, il problema di portare cibi da casa. Dopodiché, considerata l’emergenza, la coordinatrice mi ha chiamato per dirmi che avrei potuto farlo. Ma ormai era troppo tardi: io avevo già avvisato l’università che non sarai andata a fare lezione per provvedere al bambino. Ma il problema è più esteso.

In che senso?

Cioè che in situazioni di emergenza, come quella che si è verificata, l’organizzazione non prevede una sostituzione dei pasti anche per chi ha disturbi alimentari. Questo crea non solo una situazione di disagio per il bimbo e per la famiglia, ma pure discriminazione. Perché il bambino non ha colpa di essere celiaco, eppure si trova penalizzato. Mentre la legge prevede che tutti abbiano un pasto garantito in un posto pubblico. Invece non è vero: è assicurato a tutti tranne a chi ha problemi alimentari. Questo non è giusto e va segnalato.

Secondo lei dove sta la causa di questa disorganizzazione?

La procedura non mi è chiara, non so bene dove stia la responsabilità. Comunque la critica non è nei confronti dell’asilo. Ciò che mi preme è portare all’attenzione l’accaduto, affinché ci si renda conto che esistono bambini con disturbi alimentari. Non possono essere dimenticati. Sono uguali agli altri, non è che devono saltare scuola perché per loro non c’è qualcosa di adatto da mangiare e quindi non è previsto il pranzo.

Dunque la scuola, a suo avviso, non ha responsabilità dirette?

No, non credo. Non c’è nulla contro la scuola o chi la gestisce. È un problema di organizzazione di chi deve provvedere ai pasti in qualsiasi situazione, che sia uno sciopero del personale o quant’altro. Probabilmente la ditta che fornisce i pranzi forse non si è mai posta il problema. Invece, ripeto, un pranzo deve essere assicurato a tutti i bambini. Altrimenti è discriminazione. Tutto ciò, inoltre, mette a disagio i genitori costretti a spiegare ai bambini perché loro non possono mangiare.

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