Monfalcone, il declino di via Sant’Ambrogio non è colpa degli stranieri

L’analisi dell’assessore Paola Benes: «La scomparsa del commercio è dovuta alla crisi e alle nuove tendenze».
Di Paola Benes*

Sono nata in via Sant’Ambrogio al numero 38, quasi 58 anni fa. Il mio sonno di neonata ha avuto come accompagnamento il battere dei pali delle fondamenta del campanile. Ho visto e vissuto la via lungo i decenni, i suoi cambiamenti in meglio e in peggio, dipende dai punti di vista. Ho imparato ad andare in bicicletta in via delle Mura; sotto i portici i giochi di noi bambini (tanti, ma quasi tutte femmine) erano il campanon segnato per terra col gesso, saltare la corda recitando filastrocche, lanciare la palla contro il muro (ma non dalle 14 alle 15, perché non si dovevano disturbare chi riposava) con “palla prigioniera” o “palla avvelenata”. Alla sera si portavano giù le immondizie e si metteva il sacco, con i rifiuti misti, appoggiato a uno dei pilastri (le “colonne”), così, senza il contenitore chiuso dell’umido o della carta di cui molto più igienicamente disponiamo oggi che facciamo la differenziata.

Vietato lordare

In via delle Mura c’era una specie di nicchia scavata nel muro con sopra una scritta: “Vietato lordare”. Ho imparato il significato della parola “equine” dall’insegna posta sopra la porta della macelleria di Lucio, che vendeva carne di cavallo, di fronte alla macelleria di Fulvio, che si trovava accanto alle verdure della “Sorda”: non si è mai offesa perché la chiamavamo così e non “audiolesa”, come si direbbe oggi che siamo tutti politicamente corretti. Altri esercizi commerciali erano il panificio di mia madre, la bottega di calzolaio di Tonino e Giovanni, coi loro canarini. Il punto di ritrovo per noi era fuori dalla loro porta, perché finiti i compiti il grido all’unisono era: ”vado lì del scalin” (un grande gradino di pietra tutt’uno con la colonna, che poi chissà perché è stato eliminato).

L’osteria

Ma il fulcro della via era l’osteria: adesso si chiama Al Gelso. Perché i recenti gestori non aprono più spesso il portone per valorizzare il meraviglioso angolo di verde millenario. I carabinieri intervenivano qualche volta in seguito a litigi familiari un po’ troppo violenti, ma poi era meglio che non si sapesse troppo in giro. La via era aperta al traffico, ma c’erano poche automobili in circolazione. Le cose sono cambiate col passare degli anni, e ho visto e sentito rombare decine di motorini accesi e fermi all’angolo del campanile, poi la pedonalizzazione, i lampioni prima messi in mezzo alla strada, poi tolti e applicati al muro delle case (anche le giunte del passato non avevano subito ben chiare le scelte da fare).

Le bombe

Ho visto scoppiare una bomba in passo del Torrione, nella sede del Circolo universitario, che è stato devastato dalle fiamme, nei “formidabili” anni Settanta. Assieme ai miei compagni del liceo abbiamo organizzato feste del ceppo e crostolade nel salone dell’albergo Roma: suonava il complesso Hoc Opus, con musicisti del calibro di Fasola e Morena. Gli anni Settanta erano anche gli anni delle contestazioni, e ci si esprimeva scrivendo sui muri, allora mio padre, che con la sua impresa di pittori edili aveva appena fatto ridipingere facciata e colonne del n. 38, aveva appeso una tabella di legno con su scritto: “Spazio per le opinioni politiche”, che è rimasta completamente priva di scritte per tantissimo tempo.

Bengalesi senza cani

A proposito del vecchio problema dei bisogni canini e dei maleducati padroni dei cani (non ho mai visto un bengalese con un cane): in via Sant’Ambrogio si era pensato che la polvere di zolfo sparsa agli angoli delle case e delle colonne funzionasse come deterrente, ma certo non era una cosa bella da vedere né molto sana pure anche questo si faceva, tanti anni fa. Avevamo le trappole per topi vicino agli armadi nelle camere da letto, perché topi e pantigane non sono mai mancati, e nessuno ha mai chiesto al Comune la derattizzazione.

Le Acli

Ho visto cambiare bruscamente il volto della via dopo che è stata venduta la casa delle Acli, e quindi chiusa l’annessa osteria col gioco delle bocce e con la pergola, sotto alla quale tanta gente giocava a carte e si ritrovava per un bicchiere…e lì vicino: altra osteria, la Venica (anche una volta abbondavano bar e osterie, ma si sa, il vino socializza dalle nostre parti, sarà per questo che i nuovi monfalconesi arrivati anche da Paesi dove non si sa nemmeno cosa sia il vino, e nonostante i precetti religiosi, hanno subito imparato la nostra abitudine ad alzare il gomito, talvolta un po’ troppo). Comunque, sono passati ormai più di vent’anni da quella volta che ho denunciato i ragazzi che abitualmente urinavano contro il muro della chiesa: erano tutti bisiachi, e se la sono cavata con una sanzione amministrativa, e qualcuno di loro è ancora lì che fa la pipì contro il muro della chiesa. Sarebbe stata ben diversa la frequentazione di persone nella via se vi fosse rimasta la Casa delle associazioni. E poi ho visto andarsene la gelateria Il Pinguino, e la libreria e la casa editrice Einaudi ma anche le bilance di Rovis, la torrefazione (ma quante proteste per l’odore troppo forte di caffè tostato che si spandeva lungo la via!), ho visto andare via la Norma del panificio, e anche Pasian dell’altro panificio, la bottega del Cuero, la Cagiandola, la biancheria intima Divina, le ceramiche dell’Arte nel Pozzo ma tutto ciò accadeva molto prima che arrivassero gli immigrati. Già molti anni fa i negozi si sono svuotati, le saracinesche abbassate, e la causa è la grande distribuzione, il cambiamento delle nostre abitudini di acquisto e dei nostri stili di vita, non certo la presenza di migranti. È vero che oggi gli appartamenti valgono molto meno rispetto agli anni passati, in via Sant’Ambrogio come dappertutto, ma la ragione è da imputarsi alla crisi globale del mercato immobiliare, piuttosto che al gran numero di stranieri che frequentano la via.

Gli immobili in affitto

Non credo che sia una colpa dei proprietari di immobili commerciali, se questi affittano i loro locali a gestori stranieri, specie dopo le brutte esperienze che taluni hanno fatto con inquilini al cento per cento bisiachi che se ne sono andati senza pagare il dovuto affitto e devastando le stanze che lasciavano. Così come non è colpa del Comune se chi si improvvisa esercente non è capace di rendere redditizia l’attività. Senza professionalità e senza creatività oggi più di ieri non si va da nessuna parte. Testimone di ciò è la floridezza del negozio Avem (da piccola il significato della tabella luminosa mi era del tutto oscuro), sempre fermo lì in via Sant’Ambrogio, sempre gestito dalla stessa famiglia, da generazioni, e sempre pulito e frequentato. Un motivo ci sarà: e va ricercato nella serietà dell’offerta commerciale di quella azienda.

Le campane

Ci sono persone fastidiose a cui tutto dà sui nervi: basti pensare che il parroco ha dovuto far smettere di battere le ore notturne all’orologio del campanile, perché disturbava il sonno degli ospiti dell’albergo Al Gelso. E pensate alle proteste di chi vorrebbe far tacere le campane delle 7.30 della domenica perché “almeno un giorno in cui si può dormire un’ora di più”, Ma le campane che annunciano la Messa sono un forte segno identitario, se ci togliamo da noi stessi anche quello, non lamentiamoci poi che “Mofalcon no xe più quela” e che la via Sant’Ambrogio non parla più bisiaco. I ladri: so di furti perpetrati ai danni di residenti in via Sant’Ambrogio già agli inizi degli anni Novanta, circa una decina d’anni prima dell’ondata migratoria. Insomma: credo che nessuno abbia mandato via i bisiachi da via Sant’Ambrogio, e credo che nessuno impedisca loro di tornare. Nelle case, nei bar, nei negozi, nelle attività artigianali. Il Comune fa quello che può, date le leggi sulla liberalizzazione: abbiamo voluto che il mercato settimanale si tenesse in via Sant’Ambrogio e lì ci rimanesse (una volta non c’era), anzi, che si allargasse in piazza Falcone Borsellino con le bancarelle di Campagna Amica, che portano animazione e prodotti genuini a km 0. E a fine mese comincerà anche un mercato dell’antiquariato, in via sant’Ambrogio, per cercare di far riacquistare il suo antico volto commerciale ed artigianale alla storica mia via. Mi è piaciuto il commento di quel mio amico che, tornato dopo qualche anno di trasferta in Liguria, vista l’”Osteria Bangladesh” che c’era sotto i portici, entusiasta mi aveva detto: “A Monfalcone siete avanti con la convivenza multietnica rispetto al resto d’Italia!”; peccato, poi ha cambiato nome, ora si chiama “Osteria ai Portici”. Banale. Siamo tornati indietro.

Basta pianser

Concludo con le parole di mia madre, che mi diceva: “Basta pianser” ogni volta che provavo un dolore o una tristezza, e mi invitava a reagire e a darmi da fare per tornare a sorridere. Lo stesso spirito che ho letto in un appello pubblicato sul Piccolo, firmato da Patrizia Burba, che conservo nella mia agenda e porto sempre con me, perché mi fa sentire meno sola quando rileggo le sue parole: “Monfalcone siamo noi e morirà solo se i Monfalconesi rinunciano a vivere”.

*assessore comunale

di Monfalcone

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