Morto Bruno Rocco, ecco l’ultima intervista pubblicata da Il Piccolo
Si è spento nella notte tra lunedì e martedì 19 agosto il figlio dell’indimenticato Paròn. Vi riproponiamo l’ultima intervista fatta ai fratelli Bruno e Tito e pubblicata sul Piccolo nel dicembre del 2023

Da viale Rocco allo stadio Rocco. C’è un filo biancorosso spazio-temporale che lega due comunità e attraversa la storia. Un pezzo di quella storia di oltre mezzo secolo avviata dalle gesta di paròn Nereo oggi è tramandata dai figli.
Quando Rocco cominciò la sua avventura alla guida dei Padova Bruno aveva 13 anni e il fratello Tito 11. Il loro papà, dopo aver giocato alla grande con i colori alabardati, come allenatore aveva già portato la Triestina al suo miglior risultato di sempre: il secondo posto in serie A. Di sfide tra alabardati e biancoscudati ne hanno vissute a decine. Ma a ogni occasione l’emozione si rinnova.
«Proprio dopo l’ultimo anno di papà al Padova (nel ’61) - racconta Tito - io ho cominciato in quella città il mio percorso universitario. Potete immaginare l’affetto con il quale sono stato accolto». «Oltre ad aver seguito spesso mio padre a Padova - dice Bruno - mia figlia vive lì e a Padova sono nate le mie nipotine. Però sia ben chiaro, Trieste è la mia città e tifo Unione».
Come vive la famiglia Rocco la vigilia del derby?
Tito: «Con sentimenti contrastanti come sempre. Da una parte c’è l’affetto per i padovani che tanto hanno dato a me e a mio padre, dall’altra c’è l’orgoglio di essere triestino».
Bruno: «Gli anni sono passati. Fino a quando Scagnellato (uno dei fedelissimi del paròn) era accompagnatore dei patavini andavo a trovarli in albergo. L’amico Aurelio non c’è più e le cose sono cambiate. Spero che venerdì la Triestina vinca».
E il paròn come viveva le sfide con la Triestina?
Tito: «Devo dire con grande ansia. Aveva la Triestina nel cuore ma al tempo stesso dal club alabardato aveva subito l’unico esonero della sua carriera. E anche per questo voleva vincere». Bruno: «Anche prima di Padova lui aveva fatto bene con l’Unione e a Treviso. Poi nella città del Santo mio padre aveva trovato un ambiente ideale. Ci aveva portato tanti suoi fedelissimi da Zanon a Scagnellato, da Blason a Pison. Ma Trieste era sempre casa sua».
E infatti non ha mai spostato la famiglia dalla mitica casa di via D’Angeli.
Tito: «Domenica notte nostro padre tornava sempre a casa in auto. Il lunedì stava in famiglia alla quale non ha mai fatto mancare la sua presenza».
È vero che al lunedì voi due gli facevate da filtro alle richieste dei giornalisti?
Tito: «Io e Bruno eravamo gli addetti al telefono di casa. “Chiedi chi xe?” ci diceva. Se il giornalista non era diciamo così gradito lui si negava creando a noi non poco imbarazzo». Bruno: «È vero ma bisogna dire che papà con i giornalisti ci sapeva fare. Era uno che faceva fare titoli...» Un altro mondo.
Quale differenza con questo calcio?
Tito: «Oggi c’è una grande preparazione fisica, velocità, intensità. A Padova mio padre faceva venire i giocatori allo stadio Appiani a piedi. Adesso si parla di gruppo ma sotto questo aspetto lui era un maestro e forse è stato un precursore. Quando si arrabbiava tremava lo spogliatoio ma sul piano umano coinvolgeva i suoi ragazzi. Una volta un suo giocatore Rosa mi disse che prima della partita gli chiese di decidere chi fosse l’undicesimo da mandare in campo».
Bruno: «Nonostante la scorza mio padre aveva una grande sensibilità. Quella volta poi fare gruppo era più facile di oggi. Tenere a bada 13-15 ragazzi non è la stessa cosa che farlo con una trentina».
E le sfide all’Appiani?
Tito: «È uno stadio mitico con quella tribuna gigante zeppa di tifosi. Lì ho assistito a un paio di derby con la Triestina in serie A ma mi è rimasta impressa una partita del Padova con la Juve di Sivori e Boniperti. Il pubblico era talmente tanto che arrivava fino al campo. E l’arbitro ha autorizzato a giocare».
Bruno: «Il ricordo delle partite in quello stadio ancora mi emoziona come succedeva anche alla sfide del Grezar. Hanno fatto bene adesso ad utilizzarlo per il settore giovanile. Certe strutture come il Filadelfia a Torino hanno un valore per le nuove generazioni».
E a proposito di generazioni. Qual è il tecnico che assomiglia oggi di più a Rocco?
Tito: «Senza dubbio Carlo Ancelotti, per come si propone e per i risultati che riesce ad ottenere in piazze diverse».
E il catenaccio?
Tito: «È nato a Padova ed è vero che le squadre di mio padre amavano coprirsi per ripartire. Ma giocavano bene a calcio».
Bruno: «Quelli che lui chiamava i suoi “manzi” erano fisicamente forti ma sapevano giocare a calcio. In tutte le sue squadre mio papà da centrocampo in su voleva avere giocatori di talento» Siete rimasti in contatto con molti di questi?
Tito: «L’amicizia con Rivera resta intatta da quel ritiro di Asiago nel quale ci siamo conosciuti. Ci sentiamo ancora e da giovani assieme ne abbiamo combinate tante».
Bruno: «Ormai ci muoviamo poco vista l’età ma continuo a sentirmi con Schnellinger e un altro triestino come Cudicini. E poi un pensiero va sempre alle mogli di chi non è più con noi».
Cosa vi aspettate da questa sfida tra Triestina e Padova al Rocco?
Tito: «L’Unione è competitiva con un allenatore e amico capace come Tesser. In tempi recenti i derby al Rocco non ci hanno portato bene. Nello spareggio salvezza del 2010 finito 0-3 io ero in panchina e ho visto i ragazzi piangere. Stavolta però l’Unione può vincere».
Bruno: «Sarò allo stadio. Sono fiducioso per l’Unione. Peccato per il manto erboso che è pericoloso. Sugli spalti però sarà una grande festa. Soprattutto se vinciamo».
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