Morto Carone “il sindaco di Borgo” dalla vita sregolata
Ne avevano annunciato la morte negli ultimi mesi già in due occasioni, come succede di solito per gli attori o comunque i personaggi di un qualche rilievo. Stavolta però la notizia è vera e confermata. Walter Carone Iurissevich, ultimamente residente a Muggia, è morto alla clinica Pineta del Carso, stroncato da un male che non perdona. Ai più, il nome dirà poco. Ma non è così di sicuro per i residenti di Borgo San Sergio, dove per anni lui è stato “il sindaco” e, letteralmente, si poteva dire che non si muovesse foglia senza il suo avvallo. Approdava nei bar della zona preceduto da un corteo di almeno due scooter che ne annunciavano l’arrivo e facevano preparare «el tavolin per el sindaco». Che riceveva, dava consigli, circondato da una corte di giovani adoranti che pendevano dalle sue labbra. Nessuno, tra i gestori, aveva voglia di replicare, e chi lo aveva fatto aveva passato dei momenti piuttosto intensi. Anche se negli anni giovanili la figura di Carone non superava quella di un normale bullo di periferia, sono stati veramente pochi quelli che hanno avuto il fegato e l’occasione per misurarsi con quel suo fisico, palestrato prima ancora che esistessero le palestre, imponente sempre. Aveva un certo suo senso della giustizia, Carone, e raramente attaccava briga con le persone comuni e, soprattutto, per futili motivi.
Guai, però, a mancargli di rispetto. Un’occhiata in tralice, una frase di troppo potevano essere fatali. Mentre il suo cognome faceva capolino dentro e fuori le cronache giudiziarie, lui continuava a mantenere un invidiabile aplomb, quasi che le cose, invece che provocarle, gli cadessero addosso. Qualche storia di droga, qualche aggressione, qualche improvvisa esplosione di violenza che sembrava fare a pugni, quella sì, con quella figura elegante, stretta in un cappottino alla moda che faceva salotto negli anni 80 davanti alla Portizza.
E se al Coroneo nel 1992 durante l’ora d’aria marcava stretto l’imprenditore Quirino Cardarelli in Tribunale, poi, le sue udienze sfioravano spesso lo show, grazie al suo corrosivo senso dell’umorismo. Davanti all’allora pm Roberto Staffa, che in un processo dei tanti chiese per lui una condanna a 9 anni, alla fine sbottò: «Sior giudice, no go miga copado el Papa!», con i presenti a fare uno sforzo enorme per rimanere seri.
Nato da una famiglia numerosa, cresciuto alla scuola della strada, Carone ha costituito per molti anni il prototipo di una certa malavita “leggera”, quasi romantica. “Muloni” che sbagliavano, certo, ma di gran cuore. Lo si era capito quando, da solo e sfruttando la sua incredibile forza fisica, era riuscito a trasportare tre colleghi storditi dalle sostanze tossiche fuori dal serbatoio dove stavano lavorando. Un gesto che gli era valso un riconoscimento al valor civile. E se n’era avuta conferma quando, al culmine dell’ennesima storia sentimentale che non era andata per il verso giusto, gli era stato impedito anche di vedere il figlio, all’epoca promettente nuotatore. Non era raro, in quei tempi, vederlo alla “Bianchi”, nascosto dietro a qualche colonna a “spiare” i progressi di un figlio con cui non poteva più condividere niente.
La vita e gli anni lo avevano cambiato. Prima che il male lo aggredisse aveva intrapreso un’attività artigianale, che lo vedeva nell’ultimo periodo occupato a smontare i serbatoi dell’ex Aquila. Nessuno lo chiamava più sindaco, ma il rispetto non era mai venuto meno. A maggior ragione adesso, davanti a una morte in età ancora giovane. (r.cr.)
Riproduzione riservata © Il Piccolo