Museo in mare con i relitti del Porto Vecchio

La Guardia Costiera Ausiliaria con i gruppi subacquei di Trieste ha effettuato il monitoraggio dell’antica diga tra i resti di navi e rimorchiatori dei primi del ’900

C’è un vero e proprio museo sommerso nei fondali del Porto Vecchio. Non solo elementi e strutture delle antiche banchine, ma anche e soprattutto relitti di navi, imbarcazioni e persino rimorchiatori, testimonianze del lavoro e della vita sul mare e in porto di passate stagioni. In particolare a ridosso della Diga Vecchia alcuni relitti uno accanto all’altro raccontano storie di un altro tempo: c’è la famosa nave traghetto Mojolner, la nave-ristorante in disarmo affondata in banchina il 24 settembre del 1984. C’è il “Cristina”, la piccola barca in legno che portava i turisti a fare il giro nel Golfo negli anni Sessanta e Settanta, prima dell’arrivo del Delfino Verde con la sua flotta. C’ è anche una bettolina utilizzata per il trasporto dei fanghi da dragaggio, con il fondo apribile per la discarica. Ma soprattutto ci sono, adagiati sul fondo a dieci metri di profondità, uno accanto all’altro come fossero ancora all’ormeggio in superficie ma piuttosto acciaccati, due rimorchiatori d’antan, il “Pola” e il “Pirano”.

I relitti del Porto vecchio sono stati ora esplorati e censiti nell’ambito dell’operazione “Diga Vecchia”, organizzata dalla Guardia Costiera Ausiliaria e della Trieste Sommersa Diving (associazione promotrice della manifestazione Mare Nordest e del progetto del Parco Navale di Trieste), e che ha portato al monitoraggio dello stato di conservazione dell’antico molo, costruito nella seconda metà del 1800 e mai controllato fino ad oggi per capire quali segni hanno lasciato il tempo e il mare. All’operazione hanno partecipato, suddivisi in squadre e nel pieno rispetto degli standard di sicurezza, più di venti subacquei di quasi tutti i gruppi sub di Trieste: oltre al Trieste Sommersa Diving c’erano il Circolo Ghisleri, il Circolo Sommozzatori Trieste, il Sub Sea Club, il Murena Diving Club e lo Scuba Tortuga. Il lavoro è stato coordinato da Roberto Bolelli del Sommersa Diving, mentre la Guardia Costiera Ausiliaria ha messo a disposizione il pontone Ursus ormeggiato al Molo IV come “campo base”, e due gommoni per il trasporto dei subacquei e delle attrezzature. A parte i sommozzatori hanno preso parte alle ricognizioni cinque videoperatori, quattro fotografi e sei rilevatori a terra che insieme hanno girato quasi dieci ore di filmati e scattato un migliaio di foto che ora, spiega Roberto Bolelli, «insieme a preziosi disegni e documenti permetteranno di ricostruire in maniera attendibile la situazione attuale della Diga Vecchia». «Il documento finale - continua Bolelli - verrà poi consegnato all'Autorità portuale e alla Capitaneria di Porto che hanno contribuito alla riuscita dell'operazione stessa».

Ma sono i relitti “custoditi” dalla Diga Vecchia a raccontare un capitolo di storia del porto e delle sue attività, come hanno spiegato il ricercatore Claudio Pristavec, che da anni studia i relitti del golfo, in veste di consulente storico all’operazione, e il capitano Vladimiro De Noto, responsabile regionale della Guardia Costiera Ausiliaria, grande appassionato di archeologia marittima e uno dei “padri” del recupero dell’Ursus. Il relitto più spettacolare della Diga Vecchia è quello della nave traghetto Mojolner, costruita nel 1930 in Danimarca. Negli anni Settanta la nave arrivò a Trieste per essere trasformata in un ristorante gelleggiante, ma prima dei lavori, quando era all’ormeggio al Molo IV, fu teatro di un giallo: la notte del 1 maggio 1971 a bordo scoppiò un incendio che costò al vita a Nikola Arcon, un marittimo jugoslavo che un tempo aveva navigato sul Mojolner e che ora l’aveva adibito a suo rifugio segreto. La nave colò a picco a ridosso della diga il 24 settembre 1984, nel corso di una memorabile e devastante libecciata.

Carichi di storia anche i relitti dei piccoli rimorchiatori “Pola” e “Pirano”. Il primo, nato a Genova nel 1904 con il nome di “Nostro Padre”, durante la prima guerra mondiale sarà impiegato nei servizi portuali di Pola, e proprio come “Pola”, nel 1932, verrà assegnato al ministero dei Lavori pubblici, prima di essere dismesso e ceduto a privati all’inizio degli anni Sessanta.

Il “Pirano” invece nasce nei cantieri di Lussino nel 1906 con il nome di “Rosandra”. Attraversa due guerre mondiali prima con gli austroungarici, poi con gli italiani, quindi, nel 1945, viene requisito dai nazisti. Finita la guerra è nelle mani del Governo Militare Alleato e finalmente, nel 1954, va al Genio civile opere marittime. Prima di finire in fondo al mare a causa di un fortunale, sarà custodito e coccolato da un gruppo di appassionati triestini. Oggi le sue strutture fanno da tana alle corvine, mentre il suo fumaiolo si erge dal fondo della Diga Vecchia. «E a bordo - dice De Noto - c’è ancora la motrice, una macchina alternativa a vapore a duplice espansione marca Nouburg del 1905 da 120CV alimentata da una caldaia a carbone: è un raro reperto di archeologia navale e industriale, andrebbe tutelata...».

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