Mustacchi: a Trieste la sanità è ostaggio del decadimento della politica

L’ex direttore del Centro oncologico e consigliere comunale illyano: dall’ultimo governo regionale la città ha avuto critiche per le sue politiche virtuose. I manager oggi privi di margini di contrattazione

«Se un figlio o un nipote mi chiedesse “che cosa hai fatto di buono” saprei rispondere. Dovesse la vita finire domani, potrei dire “l’ho vissuta a modo mio”. Ora non gioco certo a golf tutto il giorno, per un medico smettere studio e ricerca è come per un pianista non suonare più il piano. Impossibile, c’è una passione. E senza passione non si può fare bene per 40 anni questo lavoro difficile e doloroso». Parole in cui c’è molto ma non tutto di Giorgio Mustacchi, direttore del Centro oncologico dell’Azienda sanitaria in pensione dall’ottobre scorso (per una fase consigliere comunale con Illy). Ciò che prevale oggi sono invece delusione e critica feroce.

In pensione come si sta?

Passato il primo trauma “menopausale”, benissimo. È fantastico decidere da soli quando è domenica. E poi questo non è più il sistema sanitario che io conoscevo, in cui era stimolante stare e combattere. È diventato insostenibile.

Combattere per che cosa, insostenibile perché?

Battaglie per far sì che non esista mai un paziente preferito: tutti sono preferiti, e devono essere curati allo stesso modo a Trieste, Roma o New York. La gente, nella malattia, si affida. Deve avere la perfezione possibile: conoscenza, disponibilità, soldi, strutture, farmaci (quelli migliori, un medico non deve nemmeno conoscerne il costo, è responsabilità solo di un governo decidere questa spesa), e poi percorsi agevolati, cure il più possibile a casa. Per ottenerlo mi sono fatto anche dei nemici, ma col nemico intelligente e colto alla fine un’intesa si trova. Oggi invece assistiamo a un decadimento: prima che crisi economica, è crisi culturale.

Dei medici, di tutti, di chi?

Della politica. Con l’ultimo governo regionale, scenari mai visti: un assessore che di suo non decideva nemmeno sullo zucchero nel caffè, ma seguiva solo indicazioni di “personaggi sinistri”. Un ispettore contro il manager Franco Rotelli (io e il direttore del Centro cardiovascolare lo dimostrammo con le cifre: falso che avesse poco finanziato i nostri servizi), attacchi ripetuti contro la Salute mentale (maestra nel mondo ma non va a genio all’illuminata destra locale), perdita di esperti (l’Agenzia, così non c’è più chi interpreta i dati per correggere le politiche sanitarie, le persone che sanno fanno paura), pasticci su Burlo-Cattinara (essenzialmente costati l’eliminazione del manager Franco Zigrino che alzò la voce contro il “padrone”). Trieste ha subìto critiche alle sue politiche virtuose, e per motivi che una persona molto vicina a Tondo ha definito di “bassa politica triestina”.

E andando a quella alta?

Tondo ha detto che il suo modello è quello di Formigoni in Lombardia che apre al privato indiscriminatamente, quando già di Formigoni non se ne poteva più se non quando lo imita Crozza. Al netto degli scandali, eccellenti ospedali lombardi sarebbero già falliti senza le convenzioni pubbliche, ma in convenzione hanno liste d’attesa tali che da noi verrebbero chiusi. In privato si opera subito, i medici guadagnano, e così si drenano nel privato alte professionalità. La collaborazione coi privati è opportunità eccellente, ma solo sotto stretto controllo dell’istituzione pubblica indipendente. Quanto ai direttori generali...

Non si salvano?

Rotelli e Zigrino sono stati i capri espiatori di una politica che pretende di omogeneizzare il territorio al livello più basso e non al più alto. Ora i manager non hanno più margini di contrattazione e programmazione. La gente non se lo merita, qui si era sempre favorita l’alta qualità di prestazioni. Gli “screening” antitumore, per esempio. Costano, il beneficio arriva anni dopo. Ma questo è pensare alla salute.

Riforma sanitaria: tre Aree vaste in regione. Il centrosinistra è contrario. Perché?

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità il 44% dei finanziamenti dovrebbe andare agli ospedali, il 51% alla sanità territoriale (specie ora che prevalgono le malattie croniche, e specie a Trieste con il 27,8% di cittadini ultrasessantacinquenni) e il 5% alla prevenzione. Nel progetto di Tondo tutto questo non c’è, rimane “ospedalocentrico”, mentre in Fvg su 1000 persone solo 4 hanno bisogno dell’ospedale. In più i soldi sono sempre meno, ed ecco le battaglie fra poveri: Trieste si arrabbia con Udine e Pordenone, Gorizia con l’Azienda sanitaria di Trieste, che però deve prestare soldi all’ospedale...

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