Nastro Azzurro addio dopo 44 anni

Cene di pesce e vip in una Trieste d’altri tempi. Il ristoratore Braico: ho fatto il mio
Lasorte Trieste 22/08/11 - Rive, Ristorante Nastro Azzurro
Lasorte Trieste 22/08/11 - Rive, Ristorante Nastro Azzurro

Ha fatto sistemare tavoli, piatti e posate e poi ha salutato i dipendenti, come faceva da oltre 44 anni. Ma non era un arrivederci, bensì un addio. Il “Nastro Azzurro” di Riva Nazario Sauro 12 ha tirato giù i battenti. Finisce così un pezzo di storia della ristorazione triestina che ha visto ritirarsi Guido Braico, dapprima protagonista e poi rassegnato, anche per raggiunti limiti d’età, a farsi da parte. «Ho fatto il mio», dice modestamente, ringraziando i clienti affezionati assieme alla figlia Cristina e calando il sipario su un ristorante che non è retorico definire nei cuori e nella mente di tutti i triestini.

Braico non avrebbe probabilmente mollato. Ma la decisione ha a che fare anche con la scelta del figlio Luca di andare a vivere in Australia con moglie e figli. Con molta amarezza, per uno che in quarantaquattro anni di attività ha visto attraverso i suoi tavoli lo spaccato di una Trieste che cambiava. Gli jugojeans degli anni ’70, con fiumi di miliardi a lambire la città e commercianti che giravano col rotolo delle 100mila lire in tasca, campioni dello sport (Cesare Maldini, per la sua rimpatriata triestina da ct della Nazionale, aveva scelto proprio il locale di Braico), dive in incognito (clamorosa una venuta della divina Joan Collins, complice un manager innamorato di Trieste). E poi Mondaini e Vianello, Silva Koscina, Tieri, Calindri e in tempi più recenti boss del calcio come Galliani e Braida, professionisti e tante famiglie triestine, le più in vista. A metà degli anni ’70, in fondo, non erano poi molti i locali di un certo rango. Andare da “Suban”, per le arrancanti Fiat dell’epoca, costituiva quasi una gita fuori porta. I rampolli d’oro dei benestanti di Opicina non mancavano mai il pranzo domenicale al “Diana” e poi, per il pesce, c’era il “Nastro Azzurro”. Sede prediletta per comunioni, cresime o matrimoni da ricordare, ma anche serate “tete a tete” dove guardare languidamente la partner e l’arredamento allora in gran voga mangiando l’insuperabile risotto con gli scampi o il branzino al sale. Più che un secolo, un’eternità fa. Era epoca di consumi, il pranzo o la cena fuori casa erano la norma e non l’eccezione, si lavorava molto e si guadagnava di più.

Poi venne la crisi, la riduzione del personale, il cambiamento dei costumi. I jeansinari si sono estinti come i dinosauri, le aziende, anche le più grosse, hanno abolito seccamente, anche per i top manager, i rimborsi a piè di lista, le famiglie hanno scoperto che conviene cucinare a casa o andare in sagra, tutti indistintamente, nella lista delle economie, hanno messo il ristorante e finanche la trattoria. Ed è finita un’epoca. Quella attuale, a posti come il “Nastro”, sta decisamente troppo stretta, come un paio di calzoni di trent’anni fa. (f.b.)

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