Addio ai negozi storici di Trieste, quelle insegne con i cognomi e una sfida per la politica
Chiudono per questioni socioeconomiche e generazionali, per la forza di Amazon e dei suoi epigoni. Chiudono perché vogliamo tutto e subito; non entriamo in un negozio per cercare e scegliere ma per prendere.

“Chiude un’altra attività storica a Trieste”. Quando pubblichiamo una notizia del genere, i dati di lettura sono sempre alti. Il tramonto di quella merceria popolare, di quella rivendita dove andavano tutti, di quella pasticceria che faceva i krantz buonissimi, diventa il titolo del giorno, spesso, più del maxi progetto urbanistico, più della partita dell’Unione o del basket.
Sono gli esercizi che hanno il cognome sulle insegne, quelli con lo stesso volto per decenni dietro al bancone. Ci andavi da bambino e ci portavi i figli. Sono cresciuti con noi, pilastri silenziosi del lessico di una città.
Chiudono per questioni socioeconomiche e generazionali, per la forza di Amazon e dei suoi epigoni. Chiudono perché vogliamo tutto e subito; non entriamo in un negozio per cercare e scegliere ma per prendere.
Però, perché vogliamo leggere queste storie? Evidentemente genera interesse e dispiacere. Ma allora servirebbe una politica fatta bene: non che allarghi le braccia “perché tanto funziona così” ma che se ne occupi prima; studiando percorsi che sostengano il commercio storico e lo valorizzino. Invece che commemorarlo e basta. —
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